[per una volta la foto è mia]
Uno può passare tutta la vita a scagliarsi contro intellettuali posoni, parrucconi che rimandano indietro le lancette dell’orologio culturale del nostro Paese di almeno vent’anni; e può impegnarsi a non fare salamelecchi in giro per la Rete o per i circoletti pseudoartistici del circondario pur di esibire una presunta onestà intellettuale… Ma! Quando poi quella che è comunque un’istituzione nell’Italia di quest’inizio millennio viene a chiederti se vuoi rispondere a qualche domanda, be’, c’è poco da fare. Non puoi tirarti indietro. Sto parlando ovviamente de Il Minchione, nota rivista d’approfondimento culturale che si ostina a essere solo cartacea — neppure un’indirizzo di posta elettronica, hanno — e di uno dei suoi redattori, Torlindao Casalegno, che tempo fa mi ha telefonato per dirmi che un certo mio vecchio pezzo l’aveva incuriosito. Ero così intimidito che non ho avuto neppure il coraggio di chiedergli chi gli avesse dato il mio numero. La telefonata si è presto trasformata in una gradevole conversazione che riporto qui di seguito.
Da dove nasce la poesia L’uomo nel cielo?
Non è una poesia. È una canzone. Comunque, l’ho scritta tempo fa come molte delle cose che pubblico su sanguedalcaso. Il riferimento al cielo mi interessava come luogo unico che ritorna in molte canzoni, tra l’altro le più semplici, scritte e cantate dagli uomini in ogni parte del mondo. Da chi finisce in miniera e guarda al cielo come a una speranza fino all’innamorato che s’interroga sullo stato di salute del proprio amore studiando le nuvole (se ci sono).
In quella come in altre sue composizioni sembra affiorare una certa urgenza, nella scrittura…
Mah, l’urgenza. Sono contrario a una lettura psicobiografica dei miei testi, così come anche di qualsiasi opera, di ogni genere. Se uno mi legge e si mette a pensare a cosa stavo passando nel periodo in cui si presume io abbia scritto quella cosa, vuol dire che quel testo non è capace di toccare corde universali, insomma, in quel caso io sono finito. Aggiungo: non credo che attraverso la contemplazione di una sedia si possa arrivare a definire lo stato d’animo del falegname nel momento in cui l’ha messa in piedi. Una sedia dev’esser comoda per quanta più gente possibile, non so se mi spiego. Comunque, non mi va di sfuggire alla domanda, perciò rispondo che magari, in minima parte, quando ho scritto L’uomo nel cielo, ad esempio, avevo una gran voglia di andarmene a fanculo.
Esclude che ci possa essere una versione cartacea di sanguedalcaso?
Non avrebbe mercato.
Lei è molto attivo sul web. Come si dovrebbe rapportare a Internet, uno scrittore moderno?
Senza Internet e senza Luciano Pagano (il mio maestro Jedi) non sarei qui. Perciò rispondo: con tanta educazione, ecco come.
Quali sono i suoi autori di riferimento?
Questo è un segreto. Comunque devo dire che finisco sempre per ispirarmi ad autori poco fortunati: esperienze, come dire, minoritarie. Ho la netta sensazione che questo non mi porterà bene. Posso dire però che leggo molto e leggo di tutto. Fino a prima di mettermi a cercare una mia strada, però, leggevo più col cuore. Poi inizi a leggere col cervello e anche la lettura diventa un mestiere. Così ho rallentato un po’ e spero di ritrovare un po’ di gusto. I miei autori preferiti rimangono quelli che ti fanno venir voglia di scrivere, di provarci, o almeno di continuare a leggere. A volte mi piace pensare di aver quantomeno imparato a leggere, mentre tentavo d’imparare a scrivere.
Lei ha scritto due libri con due piccole case editrici. Come si è trovato?
Molto bene. Credo che tra piccola media e grande editoria cambi davvero poco. È tutto un sottobosco che rassomiglia a un circo, in più ci si conosce tutti e ci si sopporta a malapena. Per me l’importante è non pensarmi indispensabile. Ora non voglio dire altre banalità perciò mi fermo qui.
Progetti per il futuro?
Voglio pubblicare un altro libro, dopodiché mi ritirerò poco dopo i trent’anni proprio come Michel Platini. Oppure no, poco prima come avrebbe voluto fare Marcelo Salas. Conosce Marcelo Salas, se lo ricorda?
No. Ultima domanda. Consigli da dare a un giovane scrittore?
Per la miseria! Non ho regole né consigli da dare. Perciò posso solo aggiungere che se mai dovessi tenere un corso di scrittura creativa, siete autorizzati a strangolarmi con una cravatta. O quantomeno a spararmi in una gamba, ecco.