Se Stefano Disegni fosse un musicista avrebbe all’attivo una trentina di dischi e numerose collaborazioni in altri gruppi e apparizioni a sorpresa in festival d’ogni genere. Se fosse uno scrittore, avrebbe una cinquantina di romanzi scritti sotto diversi psudonimi in giro per il mondo. Se Stefano Disegni fosse un ballerino, lo avreste avvistato in ogni tipo di balera, a sfidare il tango o la rumba fino al più vigoroso rock’n’roll. Tutto questo per dire che il buon Disegni, che molti ricorderanno in coppia con Caviglia alle prese con feroci strisce di satira su molte pubblicazioni, non riesce proprio a star fermo o essere una cosa sola. Il che non è un male, per citare un po’ a caso e a memoria il Cirino Pomicino de Il Divo («Il problema dell’Italia è il professionismo: guardate me, invece, sono medico e Ministro al Bilancio»). Personalmente ricordo il mostriciattolo Scrondo e la rubrica Carta Sprecata su Cattivik e le strisce di satira politica. Ma poi c’è stato molto altro: Disegni è autore per Crozza, diversi programmi di Raidue (suo il magnifico Alberto Sordi di Max Tortora), e anche attore (Dr. Asl, parodia del dr. House), musicista blues e chissà cos’altro. Difficile tenere insieme la sua biografia (ci prova una ‘mamma’ sul suo sito molto ben confezionato). Così, forse anche per le visioni che il nostro ha disseminato nell’intervista che segue, penso a lui come a un inventore, chiuso nel suo laboratorio segreto in soffitta. Da giù lo chiamano, si va a pranzo, ma lui non sente ragione e insieme col suo aiutante, un mezzo mostriciattolo nano, tenta di dar vita al suo prossimo gioco.
Una domanda, come al solito, è rimasta fuori, come al solito quella che volevo fare forse più di altre: visto che – probabilmente – il nostro inventore nasce come disegnatore, non sarà che Disegni è uno pseudonimo?
Cominciamo dallo Scrondo. Quell’orribile omuncolo che andava in tv mi terrorizzava già su carta, da piccolo (tant’è che non sono riuscito nemmeno a metterci una foto in questa intervista). A distanza di anni, cosa credi che abbia rappresentato? E soprattutto come diavolo ti è venuto in mente?
Lo Scrondo nacque in un afoso pomeriggio di luglio in una agenzia di pubblicità che mi vedeva copy-writer, uno di quei pomeriggi in cui non hai voglia di fare niente. Mi misi a scarabocchiare e uscì questo coso. Il nome Scrondo non so come è nato, ma penso che cercassi inconsciamente qualcosa di volgare e di epico al tempo stesso, per intenderci la radice ‘Scro’ di scroto e la desinenza ‘ndo’ di memoria western all’italiana, roba tipo Durango, o addirittura Brando. In quel tempo io e Caviglia avevamo 6 pagine su Tuttifrutti, un giornaletto musicale di allora (1986) e ci divertimmo a lanciare lo Scrondo come personaggio a fumetti (esordì in una finta pubblicità progresso sotto lo slogan ‘Adottate uno Scrondo’). Successo immediato, lettere di fan e metallari, divise subito gli adolescenti in scrondi e duran duran, questi ultimi disprezzatissimi dai primi. Lo proponemmo a Ricci per Matrioska, programma sperimentale molto aggressivo (quelli di ora impallidiscono), lui ne capì le potenzialità e nacquero gli episodi dello Scrondo in TV, 12, di cui ancora si parla, qualcuno lo trovi nel mio sito, infatti ne parli pure tu, di un personaggio che non si è più visto da vent’anni. Lo Scrondo ha rappresentato la devianza rockettara e il teppismo anarchico conditi da tenerezza: il nostro infatti ha le proporzioni di un bambino (piccoletto col testone) ed è un trovatello, io e Caviglia lo avevamo ufficialmente ‘adottato’. In più era una rivalsa contro i pupazzi americani, quelli ricchi ingrassati a Hollywood, non a caso una rubrica a fumetti richiestissima era ‘Lo Scrondo gli mena a tutti’ in cui il nostro teppistello pestava E.T., Topolino, Heidi, Superman e altri e si faceva l’Ape Maia. In fondo lo ammetto, lo Scrondo ero un po’ io, la mia parte anarchica, maleducata e un po’ punk. Disegni-Jeckyll faceva lucide strip di politica, Disegni-Hyde, con l’aiuto di un altro disadattato di nome Caviglia, scriveva le storie toste dello Scrondo.
Hai fatto di tutto, tv, libri, fumetti, musica e prima lavori di altro genere. Il mitico Kur Vonnegut, in un suo libro, faceva dire all’iperproduttivo Isaac Asimov che «l’inferno sono gli altri», perciò meglio scrivere e lavorare. Eppure, spiandoti su Facebook, mi sembri una persona molto socievole. Avanti, di’ la verità.
Sono assolutamente un tipetto socievole. Detesto quelli che se la tirano per qualsiasi motivo. Sono nato in una periferia romana, da una famiglia non certo di nobili natali. E non lo dimentico. Credo che avere rispetto per tutte le persone ed essere sempre disposto ad ascoltare chiunque, sia non solo bello eticamente, ma utile per la propria crescita personale. Il mio lavoro è fatto di osservazione del mondo, della gente in primis. Ne uscirei impoverito se mi arroccassi in presuntuose torri d’avorio o se il mio mondo terminasse in cenacoli di intellettuali e gente che conta. Sono uno che gioca a calcetto sotto la pioggia, in porta, con i padri dei compagni di mio figlio, non certo opinionisti o artisti concettuali e prende un treno fino a Milano per andare a suonare l’armonica a Castellanza, solo per il gusto di suonare e conoscere altra gente. E su Facebook, rispondo come posso a più persone possibile, pure se è difficile; al momento ho 2600 ‘amici’.
Ancora spiandoti su Facebook, ho visto la foto in cui ci siete tu e Caviglia con il grande Jacovitti. Da bambino i suoi fumetti, coi salami e le cose improbabili che spuntavano dal terreno, mi facevano impazzire. Secondo te cos’aveva in testa quell’uomo lì?
Quell’uomo lì aveva in testa una cosa meravigliosa, per dirla con Cesare Ragazzi: la sua infanzia. Mai dimenticare la nostra infanzia, mai sentirsi adulti quindi seri. Non parlo di infantilismo, parlo di capacità di stupirsi, di curiosare, di inventare liberamente senza i condizionamenti dell’età adulta. Di considerare la pazzia, attigua alla creatività, non come una cosa pericolosa, ma qualcosa da cui attingere. L’irrazionale è lo spazio infinito da cui balza fuori l’imprevedibile, un tesoro per chi crea. L’irrazionale è bambino.
Ancora su Internet. Il tuo sito è un portento. C’è praticamente tutta la tua vita, ed è davvero interattivo. Nella biografia scritta da ‘tua madre’, si legge che le innovazioni tecnologiche ti hanno sempre attratto. Mi spieghi la storia di Duemilio?
Hai presente quel periodo in cui pareva che ‘on line’ fosse sinonimo di nuove frontiere, spazi sconfinati per l’impresa e il guadagno, quel periodo in cui si pensava che essere in rete significasse automaticamente il successo per qualsiasi iniziativa? Ecco, Duemilio nacque in seguito a un’ubriacatura simile. Io e altri eroi pensammo che se avessimo proposto in rete un gioco interattivo (ancora ‘sta parolaccia) in cui tu e tua moglie vi trovavate ad allevare un bimbo, dalla nascita in poi, in cui le vostre scelte (scuola, gusti, religione, sesso) ne influenzavano lo sviluppo come nella realtà, sarebbero accorse a giocare masse sterminate e sponsor miliardari. Non ci filò pressoché nessuno, Duemilio (si chiamava così per il nuovo secolo) finì in una pomeridiana su Raiuno, alla faccia dell’interattività, durò una quindicina di puntate e amen. Peccato, l’idea mi piace ancora.
Le tue strisce sono sempre state un mix di spietatezza e semplicità. Sei tu spietato e semplice, Stefano Disegni?
Ma vai a scuola da Marzullo? Ma che ne so. Semplice sì. Non sono uno spirito tormentato e attorcigliato sui propri psicodrammi o meglio quando me ne scappa fuori uno, se proprio non riesco a venirne a capo cerco di conviverci serenamente. Ho le mie depressioni come tutti, ma faccio in modo che a condurre la danza sia io e non loro. Quanto alla spietatezza, beh, è una parola truce. Non sono spietato, non satireggio mai la malattia o i difetti fisici, per esempio. Ma cattivo, sì. Uno, perché a un mondo di figli di puttana furbastri devi rispondere con satira feroce e non con toccatine di fioretto, due, perché la cattiveria diverte il pubblico, che vedendola rappresentata, dice ‘mamma mia, però’ e poi ci gode, tre perché onestamente a volte ci godo pure io. Ognuno ha le sue perversioni.
Mi spieghi brevemente come si suona l’armonica a bocca? Io suono solo il kazoo.
L’armonica è uno strumento che si suona prima di tutto con… la pancia. Nel senso che è uno strumento, almeno per come la suono e la intendo io, fatto di grinta. Come te la spiego? Non posso dirti dove mettere la lingua, o come suonare un buco solo, o come piegare le note con la gola. Devi prima avere un’enorme voglia di suonarla, poi comprarne una, mettere su un disco di qualche armonicista bravo e cercare di rifare finché non ci riesci. Poi elabori e vai da solo. E soprattutto, suonare, suonare, suonare.
Hai anche scritto un testo teatrale, Dodici atti impuri. Hai mai assistito a qualche messinscena non autorizzata?
Dodici Atti Impuri è l’opera più saccheggiata della storia. Su Internet ho trovato un’infinità di messe in scena, compresa una certa ‘Compagnia del Teatro Italiano in Olanda’, di cui non sono mai stato informato. Gruppi studenteschi, compagnie locali, gruppi di attori, persino un dopolavoro di una società di ingegneristica, questi però mi hanno almeno invitato ed erano bravissimi, e poi i proventi andavano a una scuola in Africa. Gli unici che hanno chiesto correttamente i diritti sono un belga che mi ha pure mandato il testo tradotto per la mia approvazione (ho approvato tutto, non capisco il francese) e Tullio Solenghi che ha messo in scena sei degli atti impuri al Teatro Vittoria di Roma, con buon successo di pubblico. Che devo fare, a certi gli ho scritto dicendo che l’autore è vivente e potevano almeno invitarlo alla prima.
E poi, anche libri per bambini. Devo farti il domandone: tra tutte le cose che hai fatto, qual è il legame, in cosa differisce l’approccio?
È presto detto: amo inventare. In qualsiasi direzione. Adoro vedere storie che prima non c’erano e poi sono lì, finite, stampate, qualcosa che ho fatto ma che non mi appartiene più, se ne va in giro per il mondo con le sue gambine, che finisce in case che non conoscerò mai, che serve a qualcuno per vederci chissà cosa, addirittura per crescere, come mi dicono a volte. Sai, è come fare figli ogni volta. Ecco sì, faccio figli tutti i giorni, qualcosa che resterà nelle scaffale o nella testa di qualcuno. E ogni volta è una sfida: che inventerò adesso? Ce la farò? Vediamo, uno spunto forte, ci vuole uno spunto forte… eccolo! Sviluppiamolo! Non senti com’è eccitante? L’approccio, come dici tu, è unico per tutto, dalla politica, alla televisione, al cinema, alle moto: la curiosità di vedere fin dove posso arrivare con questo dono, come chiamarlo sennò, che Madre Natura, l’Artefice del Mondo, la mia mamma o chi ti pare, mi ha gentilmente regalato: una discreta inventiva.
Tornando alla satira e alle vignette. Ricordo che intorno a Cuore o altri giornali simili c’era una grande curiosità, molta domanda in termini di mercato. Oggi la satira è mutata, sembra quasi ‘obbligata’ a caricarsi forse di compiti che non le si addicono. Come volesse/dovesse educare. Io dico che deve solo distorcere, diseducare, deformare. Oggi noto però anche che non c’è richiesta di giornali satirici. Sono cambiati i tempi, gli attori della satira attuali sono peggiori oppure mi sto incasinando la vita con una domanda cretina?
Io penso che la satira non finirà mai. Esiste dai tempi di Tito Maccio Plauto, in mille forme diverse, disegno, teatro, cinema, canzoni, oggi Internet, domani chissà che altro. L’impulso umano a pigliare per il culo il prossimo a fini politici, canzonatori, goliardici o come ti pare è un’eruzione spontanea che continuerà ad apparire sulla faccia dell’umanità. Certo, oggi penso che stiamo assistendo a un cambiamento e molte sono le domande, prima tra tutte il futuro della carta stampata. I costi sono alti, la pubblicità non ripaga, c’è crisi, i primi a farne le spese sono i giornali di satira, già non troppo seguiti in questo paese di addormentati. I giornali di satira non giustificano l’investimento, questo è il fatto. Non fanno grandi numeri tranne rare eccezioni (due: Il male e Cuore, ma in altri tempi) pertanto è sempre più difficile trovare editori. Questo penalizza nuovi, giovani autori che vogliano crescere: non hanno spazi in cui allenarsi, redazioni dove incontrare gente da cui imparare, come è successo a noi. In più, noi siamo cresciuti combattendo spaventose repressioni, in famiglia e nel sociale, questo avere davanti un’autorità da combattere con la presa per il culo ci ha in un certo modo temprati, forgiati al combattimento. Questi di oggi sono i nostri figli, cresciuti da genitori non repressivi, preoccupati anzi del loro sentire, spesso vestiti come loro. È molto più difficile sentirsi antagonisti, in questo modo, e farne scaturire creatività.
Hai scritto un libro con delle storie zen che pigliano per il culo le storie zen vere e proprie, visto che anche queste sembrano pigliarti per il culo a loro volta. Ma è vero che nel libro, tra quelle fittizie, ce ne sono sette autenticamente zen? E comunque, la risposta alla domanda «Bisogna essere nati 1000 anni fa in Giappone per capire lo zen?» è «No», sappilo.
Sì, l’ho scritto. Sai che rileggendolo, ti do ragione? Apro una scuola, 100 euro d’iscrizione. E mica posso stà sempre a disegnà.