[Ecco un fulgido esempio di intervista realizzata controvoglia per un giornalaccio di provincia. Natale, tempo di bontà e cose del genere, mi affidano l’intervista via mail al vescovo di qui vicino. Astraendoci dal contesto, quanto segue è ciò che capita a qualsiasi poveraccio alle prese con l’iscrizione all’albo dei pubblicisti. Cappelletto introduttivo e domande banali. Roba natalizia. Del resto, ho pensato, il vescovo si limiterà a rispondere al volo. Invece: a parte la + accanto al suo nome in fondo alla mail, da buon vescovo, il pastore in questione ha un’ottima conoscenza del web e una discreta disponibilità. Tant’è che risponde ben oltre le mie aspettative, e si prende pure la briga di infilarci – in un’intervista natalizia – quei due o tre concetti cattolici che tanto mi fanno innervosire. Via mail non ho possibilità di rispondere: mi sono fatto fregare. E buon Natale.]
Un Natale difficile, quello in arrivo per le famiglie italiane, da più parti descritto come quello più duro degli ultimi anni (ma non è così ogni anno?) a causa della crisi finanziaria mondiale in atto. Crisi che potrebbe non avere esaurito gli effetti negativi, ma che al contrario potrebbe ancora manifestare in pieno. Di certo, e i commercianti se ne sono già accorti, c’è che il potere d’acquisto delle famiglie sembra vertiginosamente in calo. Chiaro che le preoccupazioni a tal proposito finiscano per aumentare in un periodo come quello natalizio: in questo contesto tornano in mente le parole pronunciate settimane addietro da Papa Benedetto XVI; parole con cui il pontefice ha espresso il dovere di allontanarsi dalla visione consumistica della società. Abbiamo così colto l’occasione per dialogare dell’arrivo del Natale con mons. Michele Castoro, vescovo della Diocesi di Oria (Brindisi).
Come vive la Sua comunità le festività natalizie? Quanto, secondo Lei, i valori cattolici vengono avvertiti nella quotidianità della vita dai fedeli?
Il Natale dei biglietti augurali, delle luminarie, dei pacchetti con fiocchi dorati talvolta sembra un surrogato del Natale vero. Occorre tornare a parlare del Natale, nel suo significato originario, ricordando a tutti che cosa è avvenuto duemila anni fa: Dio per l’umanità era lontano e inaccessibile; addirittura gli ebrei temevano di morire solo a guardarlo o a sentirne la voce. Ed ecco l’evento inaspettato del Natale: Dio si rivela e il cielo si posa sulla nostra terra. Per esser meglio accolto senza paura, Dio si fa debole bambino. Egli viene per riportarci alla comunione con Lui e per rivelarci la nostra vera, profonda identità. Lo aveva compreso il grande poeta indiano Tagore, che ha scritto di Gesù: “Tu sei tutto nostro, perché per mezzo tuo abbiamo trovato noi stessi”. Eppure nei nostri paesi cristiani, col pretesto di non urtare la sensibilità di chi segue altre religioni, ci si allontana da Gesù: in Inghilterra intellettuali vicini al governo parlano del Natale come di “una delle tante barriere di fronte a cui si trovano negativamente gli stranieri non cristiani”; dagli Stati Uniti giunge la proposta di togliere dalla datazione il “d.C.” (dopo Cristo) e sostituirlo con e.c. (era comune); in Italia anche sui mezzi di comunicazione si manifesta talvolta insofferenza al crocifisso o al presepe nelle scuole… Come se un popolo potesse guardare al futuro senza la memoria delle sue radici e del suo passato!
Quale può essere il valore della Fede e di una comunità cattolica durante le prossime festività, tanto più in un periodo che si annuncia molto critico per le famiglie da un punto di vista economico?
E’ evidente che l’economia mondiale dovrà fare passi indietro. Se il 20 % delle persone che vivono sul pianeta consumano l’80 % delle risorse e l’altro 80 % consuma solo il 20 %, è chiaro che prima o poi ci sarà un livellamento. Purtroppo la nostra cultura ci spinge a mettere al centro le cose, il denaro, la ricchezza e il successo, dimenticando i veri valori della vita: l’amore, la fede, la speranza, la condivisione. La crisi economica, se da una parte ci mette angoscia perché siamo abituati a consumare senza misura, dall’altra apre davanti a noi uno spiraglio di maggiore attenzione alle cose che contano davvero. Ricordo un genitore che aveva portato in parrocchia, per i bambini poveri, una sporta piena di giocatoli di suo figlio, dicendo: “Questi giochi sono nuovi. A mio figlio, infatti, dopo mezza giornata, il giocattolo che gli ho regalato non interessa più”. Conoscevo bene il figlio: avrebbe voluto giocare con suo padre, ma lui non aveva tempo e credeva di supplire con dei doni.
Crede che, come ha detto anche Papa Benedetto, sia il momento di rivalutare valori di solidarietà alla base del vivere civile, allontanandosi dal consumismo sfrenato che sembra quanto mai in crisi?
Il Bambino che ammiriamo nel presepe ci dà l’esempio della solidarietà più vera: per amore si dona e si spende tutto per noi. Anche noi per gustare la felicità vera siamo chiamati ad amare: Dio in primo luogo e con tutto il cuore. E poi ci ha detto chiaramente che Egli considera fatto a Sé anche ciò che facciamo per gli altri. Riguardo al Natale, poi, San Paolo scrive: “E’ apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini. Essa ti insegna a rinnegare i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza”. Quali sentimenti, allora, ispira il Natale? Guardiamoci attorno. Anche nel nostro piccolo angolo di mondo si raggruma tanto dolore: poveri, malati, disoccupati, anziani soli, famiglie frantumate… Nella festa della nascita di Cristo c’è chi, sopraffatto dalle prove, maledice addirittura il giorno della propria nascita. Nel pianto del Bambino Gesù dobbiamo saper ascoltare quello dei tanti che soffrono.
C’è un ricordo particolare, legato alla sua Diocesi e al periodo delle festività natalizie, che Le piacerebbe raccontare?
In preparazione alle feste natalizie, è mia abitudine visitare i luoghi di sofferenza presenti in questa diocesi: ospedali, case di riposo, comunità educative per minori ecc. Lo scorso anno sono stato anche nella Comunità terapeutica “Emmanuel”. Dopo il saluto del responsabile e prima di condividere un momento di festa in fraternità, abbiamo fatto una piccola preghiera. Al termine ho spiegato il senso del Natale. Mi sono sforzato di far capire che Dio non è poi così lontano, neppure nelle situazioni più drammatiche, perché ha scelto di venire incontro ad ogni uomo, tanto che ha assunto un nome nuovo “Emmanuele”, che vuol dire “Dio con noi”. Allora, un giovane della comunità si alza in piedi, mi interrompe e dice: “Allora, noi siamo anche più fortunati perché la nostra Comunità si chiama proprio Emmanuel con il nome di Gesù e perciò possiamo meglio sentire la sua vicinanza”. L’applauso dei suoi compagni ha sottolineato questo bel pensiero. Avevano capito il messaggio.
Vuol fare un augurio ai nostri lettori?
La felicità non si misura dalle cose che si possiedono, ma dalla capacità di accogliere, di amare, di condividere. Diventiamo anche noi “buoni samaritani”, costruttori della civiltà dell’amore e portatori di conforto a chi è meno fortunato di noi! E questo non soltanto a Natale. Le prossime festività diano invece inizio a un nuovo stile di vita, capace di ridonarci pienezza di gioia, come concreti operatori di pace e di giustizia, in una sorta di “Natale quotidiano”.