[L’intervista è dell’anno scorso. Le cose sono andate così: io ero lì per assistere allo spettacolo, non certo per intervistarlo. Di Celestini, che comunque apprezzavo in tv, non sapevo niente. A un certo punto il caporedattore del giornale mi butta nel camerino di Celestini. L’attore ha capito subito che improvvisavo, si è incazzato, poi devo avergli fatto pietà, così ho smesso anche di prendere appunti, ma tanto era tardi. Ecco un esempio di intervista raccolta e rielaborata controvoglia, dunque un’intervista piuttosto classica. Questo accade quando lavori per un giornale di cui non t’importa poi molto.]
Per Ascanio Celestini la Storia non è una questione di nostalgia. E’ materiale fatto di piccole singole storie, da filtrare attraverso il racconto soggettivo e ironico del narratore, unica possibilità di difesa dei protagonisti ai margini dei suoi spettacoli.
Lo incontro a Latiano, Brindisi, nel suo camerino, a cinque minuti dall’inizio di Pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico. Prego Dio che non parli rapidamente come nei suoi monologhi (ma Dio non esiste oppure è il direttore di un supermercato/manicomio, si dirà in scena poco dopo).
Celestini mi accoglie con una parrucca in mano e una stufa che occupa un quarto della stanzetta. E’ l’occasione per parlare di questo spettacolo del 2005 in cui c’è tutto il suo repertorio: scenografia essenziale, pochi movimenti, mille microstorie per spiegare i manicomi e i loro personaggi, l’elettroshock e l’umana disperazione di quei luoghi col tipico tono da affabulatore/mitragliatore; un mondo che vive sovrapposto a quello delle manie della compulsiva società dei consumi, in cui invece si affoga tra yogurt, riviste, salumi, bibite e cereali esattamente come i matti possono affogare nel buio.
Ma è anche l’occasione per parlare di Parole sante, film documentario in cui Celestini racconta le vicende di alcuni giovani precari nel call-center più grande d’Italia, l’Atesia di Roma. Parole sante è anche un disco edito da RadioFandango, vincitore del Premio Ciampi 2007 come ‘miglior esordio discografico dell’anno’.
Come nasce Pecora nera?
Il processo creativo è stato comune agli altri. Anche in questo caso ho raccolto delle interviste, poi ho rielaborato tutto per il racconto sulla scena. Ho girato per manicomi, ascoltato storie e visto come funziona quel mondo per tre anni. Non so se ci sono grosse differenze rispetto agli altri miei lavori, si tratta comunque di qualcosa che scava nella coscienza di ognuno. Forse questo riesce ad essere più diretto, trattando un tema, quello della malattia mentale, che non è precisamente legato a un passaggio storico come gli altri.
Qual è la reazione del pubblico?
Quando si parla del supermercato c’è una scena piuttosto forte. Ecco, alcune persone mi hanno detto di essersi sentite schifate, disgustate. E’ l’effetto che volevo ottenere, seppure senza particolari artifici: tutto quel parlare di cibo, merci, oggetti, è la rappresentazione di quello che, all’opposto della malattia mentale, dovrebbe essere la normalità, e che in fondo assume toni molto paradossali, grotteschi. Tornando al confronto con gli altri spettacoli, forse proprio su questo, su quella rappresentazione del supermercato e del consumismo, Pecora nera finisce per andare dritto al cuore dello spettatore.
E’ da poco uscito il documentario Parole sante. Com’è andata col grande schermo?
Il metodo di lavoro è stato lo stesso, interviste, viaggi, racconti, poi ho messo tutto insieme. Potrà piacere o meno da un punto di vista artistico, ma ritengo che il tema trattato, la precarietà, sia di grande importanza; invece c’è quasi un’opera di rimozione collettiva al riguardo, a destra come a sinistra c’è un silenzio spaventoso, tutti sembrano avere la coscienza sporca. Le storie che racconto nel documentario sono storie – vere – di coraggio e di esasperazione, storie di ragazzi che sembrano davvero affogare nel lavoro nero, altro che a contratto. E’ come sguazzare in un’illegalità diffusa paradossalmente a norma di legge.
Ho letto che però avresti sconsigliato di vedere il film, visto che sarebbe uscito male…
No, intendevo dire che se si cercano delle storie in senso tipico, delle storie e delle avventure da cinema, allora Parole sante non è il film che fa per voi. Ci sono delle storie drammaticamente vere, che non hanno alcun bisogno di essere ‘spettacolarizzate’ o adattate a un linguaggio strettamente cinematografico: ed è questo che le rende interessanti.