Io spero che la puntata di Propaganda Live di ieri su Taranto possa far comprendere a chi è lontano quanto sia totalmente fuori di testa la situazione di questa zona. Non c’è distopia che regga. Quando Zoro si meraviglia dei guardrail rosa scopre per me l’acqua calda, ma mi rendo conto che se non hai mai visto una cosa del genere è normale non crederci.

Non sono di Taranto, ma per me l’Ilva è una questione di paesaggio e famiglia. La osservo scorrere dai finestrini dell’auto da quando sono al mondo. La domenica mattina, verso Matera e il resto della famiglia, e la domenica sera, di ritorno verso Brindisi. La mattina una sorta di città futurista color rosa e acciaio, la sera un’astronave sterminata e fumante.

Se non vedi la fabbrica dalla superstrada, non puoi afferrarne le dimensioni, non puoi capire che la città è la fabbrica e la città un corollario.

Il cimitero, rosa anch’esso, davanti all’attuale copertura costruita da ArcelorMittal, con le indicazioni sul lato destro che indicano però la fabbrica (e sotto anche le indicazioni per la facoltà di scienze della comunicazione, ma questa è un’altra storia).

Le ciminiere della fabbrica che si vedono anche dalle spiagge a 50, 60 km e forse anche più lontano, praticamente in Basilicata.

Una questione quasi affettiva, paradossalmente, tanto che quando hanno sostituito il pannello dell’Ilva con quello nuovo mi è quasi dispiaciuto.

Nella mia ingenuità da bambino, una volta ho chiesto a mia padre perché non buttassero giù l’Ilva e ci costruissero una città. A proposito, forse comprendere lo stato d’animo di chi vive a Taranto può aiutare a capire come vivono e vivranno i bambini e i ragazzi che oggi sono consapevoli del disastro climatico. Noi avevamo il buco nell’ozono, l’Aids, Saddam e poi le guerre nei Balcani, ma questa sensazione di condanna permanente credo sia molto più pesante.

Io l’ho percepita forte a Taranto a Tamburi per la prima presentazione di Ilva Football Club, il libro mostrato ieri da Zoro. C’era anche Ciccio Cavallo. C’era un’aria irrespirabile. La fabbrica che incombeva sullo spiazzo della chiesa del Divin Lavoratore, e dentro quel Gesù che protegge gli operai che è impensabile finché non lo vedi, perché ti fa capire quanto la fabbrica sia anche una questione antropologica, culturale, psichica.

Un’ultima cosa su Zoro. E su Salvini: ho parlato spesso della sua comunicazione. Ho pensato che metterla su un piano tecnico, piuttosto che su quello ironico o incazzato, potesse aiutare a disinnescarlo, visto che continuo a credere che lo abbiamo creato un po’ noi, lasciandoci triggerare e indignandoci per le sue uscite virtuali e fisiche quando non era nessuno.

C’è un parallelo tra Zoro e Salvini: oltre alla passione per la convivialità e la cucina, c’è il fatto che entrambi girano, vanno nei posti. Zoro ha cominciato molto prima di Salvini, ovviamente, ma il punto è questo, ripeto: vanno nei posti. Zoro con la generosità che non ha nessun giornalista italiano o quasi, Salvini da predatore: e se non ve ne foste accorti, il leader della Lega è da almeno una settimana in Basilicata, dove si vota per le regionali, altra cosa di cui ci accorgeremo il giorno in cui si voterà.

Per chi vive in periferia (perché la questione nord-sud, in un mondo in cui la Cina può “comprare” l’Italia, è stata superata da quella centro-periferia) il vittimismo è sempre un rischio, un riflesso automatico. Bisogna imparare a gestirlo e io faccio molta fatica, quotidianamente, ma anche adesso, nel tentativo di chiudere queste righe. Così come è complicato gestire la consapevolezza che quel poco di ricchezza che si è creato tra Basilicata e Puglia è dovuto anche al patto con un diavolo, però umanissimo, tra ambiente e tecnica. Se tolgo la tentazione del vittimismo, resta la certezza che in futuro, un futuro già passato, quel patto non è più possibile.