manhatthan doctor

Qualche notte fa ho sognato Adolf Eichmann, il tristemente noto Obersturmbannführer delle SS. Era seduto su una vecchia sedia di legno con il sedile in vimini, accanto al mio letto. Non era uno di quei sogni in cui realizzi di star sognando, quindi mi godevo la scena in tutta la sua magnificenza: il mio letto era posizionato da qualche parte sulla superficie della faccia scura della luna. Tutt’attorno il buio della galassia curvava e curvava su se stesso attorno a me e a Eichmann, vestito con una tuta acetata bianca e blu, ai piedi delle Air Jordan Son of Mars. Mentre una supernova si estingueva lontana in un tempo dimenticato, il nazista cominciava a parlarmi: «Sei ben sveglio? Ho mal di schiena e tra un po’ vado via. Quindi apri bene le orecchie. Sai perfettamente che in alcune teologie si parla di un demiurgo assurdamente feroce che plasma la realtà – quella che vedete laggiù sulla terra, per dirla in breve – in forma mendace. Perché lo fa? Per disorientarvi, o perché è cattivo, ma non è questo il punto. Anzi, il punto è proprio questo: forse lui non è cattivo, e non c’è alcun Anticristo che si diverte a disfare continuamente il lavoro di Dio. Forse questo demiurgo è solo diverso. Cosa fa un creatore, del resto? Crea un mondo secondo le regole del suo linguaggio. Non può fare diversamente. Il mondo creato da questo demiurgo parla necessariamente la lingua del suo creatore. Non può che essere così. Il demiurgo e il suo mondo sono programmati – non sappiamo da chi, questo non possiamo saperlo – per comportarsi in un certo modo. Allora faresti bene a cercare di comprendere il linguaggio di questo creatore. Probabilmente la sua è una lingua semplice, incapace di rendere le sfumature e le complessità che al contrario ti piace cogliere tra le pieghe del mondo. Immagina un idioma dialettale, parlato ormai da poche tribù, per lo più trascritto male, del tutto sgrammaticato e confuso. Un borbottio gutturale che tenta di imitare il pensiero con soluzioni linguistiche per lo più simili a onomatopee… E che dunque non fanno che replicare se stesse e dunque il mondo sorto nello spazio di un decibel. Pensaci bene, il tuo è un mondo in cui ogni epoca non dura che un istante, in cui ogni individuo è una generazione… Non è un mondo che vuol essere compreso, è una terra attraversata da tribù che vivono per morire, perché non hanno che un linguaggio – quello del loro creatore – che disegna continuamente non un avvenire, ma un continuo passato. Un passato distopico (ma non lo è ogni passato?), perché è un presente che slitta continuamente all’indietro, verso la distruzione. Quello che voglio dirti è che non è colpa di queste tribù, e neppure del demiurgo. Forse bisognerebbe tenere delle lezioni private per questo creatore, per ampliare il recinto del suo lessico, delle sue possibilità espressive… A patto di poterlo incontrare. Di volerlo incontrare. Non posso dirti altro. Adesso fammi una domanda.»
A quel punto mi svegliavo.