L’ultima puntata di Puglia, America è da oggi online su Setteperuno. Ringrazio ancora i setteperini Valentina e Andrea per lo spazio concessomi. Nel caso di quest’ultimo trip da docudilettantfiction, ho accompagnato il video con un racconto, che vorrei adesso leggere a tutti voi, per una volta, ad alta voce. Eh-ehm (schiarisco la voce, appunto), questa storia si chiama:
160. vita di un manichino
e fa più o meno così:
la sento, sento questa febbre flebile e calda che mi fa doppio a me stesso, mi obbliga al movimento, sia pure nella ristrettezza di un corpo che è una gabbia e per questo mi appartiene. è qui che voglio stare: tra gabbie.
la prima gabbia è il mio corpo. immoto eppure via, senza pace, assente. la seconda gabbia è questa stanza: è qui che voglio stare. la terza gabbia è questa casa, che si dà pena di essere carcere solo quando ricorda la peculiarità d’ogni prigione: la contiguità tra celle. un carcere è tale perché c’è una porta che si chiude e non si riapre quando attraversi una stanza, e accanto a quella stanza ce n’è un’altra che è ancora gabbia.
la quarta gabbia è la strada, e le carceri che puoi visitare percorrendola, dall’esterno, sì, un punto di vista sull’altrui solitudine, ma anche dall’interno di una gabbia che si fa cielo.
la quinta gabbia è questa città, che è a un tempo un freno e una riproduzione in scala dell’idea di libertà che avevo in testa prima che mi ammalassi: l’attimo che passa, se c’è, tra pensiero ed espressione.
la sesta gabbia è una nazione. la settima un continente. l’ottava è un’invenzione.