Intervistare Paolo Conte è decisamente un miraggio: il Maestro non si è mai concesso molto, figuriamoci con un povero intervistatore da strapazzo come il sottoscritto. Allora ho avuto l’opportunità di rifarmi con una sua canzone. Sì, io ho intervistato un pezzo di Paolo Conte: un colpo di fortuna di cui non posso tuttavia raccontare molto. La canzone, va detto subito, ha preferito rimanere anonima per un motivo che non saprei ma che tutti voi potrete intuire leggendo la seguente chiacchierata. Scoprirete che il brano in questione non è certamente Gelato al limon. Suggerisco allora di immaginarla come un incrocio tra Alle prese con una verde milonga, Pittori della domenica, La donna d’inverno e Max.

Cosa significa essere una canzone di Paolo Conte?
Ehhhhhhh, bella domanda. In generale diciamo che il rapporto con Paolo è, uhm, complicato. Lui appartiene a quel genere di avvenimenti, ecco, tutti umani, per cui a una eleganza formale può corrispondere, come dire, un’esplosione nascosta, un caos tutto interno, che sta dentro, è opaco, ecco. Vede, uhm, comunque il fatto è che non è vero che gli autori delle canzoni finiscono per assomigliare alle proprie creature. È più vero il contrario, eh, mi creda. Perciò nel tempo sono stata grigia, blu, ma anche arancio e nero. Non so se mi spiego, uhm.

No, in effetti non mi è molto chiaro.
Ecco, ehhhhhh, vede, gli umori di Paolo. Paolo sembra sempre uguale, ma no, vede, lui ha un umore, un umoraccio, diciamo, e a ogni tipo di umore del signor Paolo Conte, ecco, si può accostare un colore. Lo so, eh, che può sembrare sempre grigio, o blu, dico per dire, ma alle volte è stato arancione e anche nero, ecco, eh, nero può sembrare molto adatto, anche, ma ora che ci penso anche giallo, lo giuro, eh.

Il giallo, è un’impressione personale, è il colore di Gelato al limon. A questo punto è chiaro che lei non è Gelato al limon.
Eh, no, Gelato proprio no. È una canzone distinta, ha una sua eleganza, anche, uhm, sopravvalutata perché come in altre canzoni in fondo parla di sesso, ehhhhh, diciamo così. Diciamo proprio così.

A proposito di interpretazioni. Mi chiedo spesso cosa riescano mai a comprendere olandesi e francesi di una canzone di Paolo Conte.
Cosa vuole che capiscano? Uhm, credo, ehhhh, quello che davvero c’è da capire. Gli olandesi capiscono la pioggia, i francesi il tabagismo e il sesso, eh, ce n’è davvero tanto in me e nelle mie sorelle, ma nascosto bene, ehhhh.

Che rapporto c’è tra voi sorelle? In fondo il Maestro ha una produzione sterminata, che è anche molto mutata nel tempo. Negli anni ’80 è andato persino sull’elettronica, roba da poco, ma c’era.
Ehhhh, tra di noi non ci sono particolari problemi. Di fondo c’è il fumo in un locale degli anni ’20, uhm, e poi l’amore fisico un po’ sognato, e, uhm, aggiungerei anche il fatto di parlare di cose che accadono per strada, diciamo. Il problema è che con quelle altre, ehhhh, quelle sì che…

Si riferisce alle canzoni scritte per altri?
Ehhhh, non mi faccia dire.

Non diciamo, allora. Per caso lei è di quelle canzoni che sono state riarrangiate nel corso della carriera del Maestro?
Solo una volta. È stato, uhm, magnifico. Ha alzato il volume del piano e ha cantato con una voce, uhm, più roca, diciamo, una vera sciccheria.

Le faccio una domanda posta al Maestro da un giornalista de Il Mucchio Selvaggio, tempo fa. È vera la storia della tessera di Alleanza Nazionale?
Uhm, non mi dica che il Maestro ha risposto a una domanda del genere.

Francamente non ricordo. Dev’esser stato molto vago, comunque.
Ehhhh, vede. Il Maestro è un uomo dall’animo ottocentesco rimasto chiuso, vediamo, in un film di Humphrey Bogart. Inoltre, ecco, di notte sogna di essere un negro, oppure Maurice Ravel. Faccia lei, uhm.

Non mi è molto chiaro, ma va bene. Com’è essere eseguita dal vivo?
Ehhh, direi un po’ come fumare una sigaretta dopo due-tre ore di attesa. O scolarsi una bottiglia, uhm, di Malvasia di Catorzo in buona compagnia, faccia un po’ lei. Paolo ha quelle mani quasi invisibili, uhm, è come se non toccasse il piano per davvero, a un certo punto è come se non suonasse, come se io e le mie sorelle andassimo da sole… Ah, poi c’è la storia del naso, ehhhh, se strofina il naso contro il microfono mentre sta cantando una di noi allora si scatena la gelosia delle altre, eh. Per non parlare del kazoo! Ah, e poi i fiati: i fiati, uhm, sono un po’ un vento caldo, di scirocco, che alza, uhm, alza un bel po’ di polvere sul molo che dà su una spiaggia del nord-ovest, diciamo. E poi viene il temporale, ecco. Non so se rendo l’idea, ehhhhh. È come avere a che fare con un pugile troppo ubriaco per colpirti, uhm, sì.

Sì, direi di sì. Insomma, è contenta di essere una canzone del Maestro. Un’ultima domanda: in che occasione è stata concepita?
Ehhhhhh. Credo che Paolo fosse intento a buttar giù qualcosa da, uhm, cantare diciamo utilizzando solo mugolii, gargarismi, versi gutturali, al massimo quel suo inglese inventato. Per lui il canto è, uhm, questo, sì. Ma sono venuta fuori io. È stato un caso fortuito, lui pensava a qualcosa, eh, che fosse tipo anni ’20, molto anni ’20, diciamo ’29 al massimo, eh, lui ha una vera e propria fissa per quegli anni, come se dopo non ci fosse stato più nulla, diciamo, ehhhhh. E insomma, poi ci sono stata io, eh, con le mie sorelle.

Per fortuna. È stata molto gentile, signora canzone.
Ehhhhh. Grazie a lei. Speriamo che Paolo non m’abbia sentito, uhm.