Non ci sono i Depeche Mode, ma un coro a cappella – rimasto intrappolato negli echi della navata – ad accompagnare i tuoi movimenti asciutti, mentre, come ogni settimana, dopo esserti tamponata le labbra col tovagliolo, lasci la chiesa senza nemmeno salutarmi.

Non ti ho mai voluto dare nessuna ricetta. Avevo paura tu poi non avresti avuto più bisogno di tornare.

Basta mezza cipolla per due amanti clandestini in un’abbazia come garçonnière.
Basta anche solo un quarto di testa d’aglio per dar occasione di litigio ai due amanti clandestini.
«Che diavolo stai pasticciando? È fuori discussione che tu usi quel coso».
«Questa volta bisogna unire due mondi: l’olio e il burro, la cipolla e l’aglio!»
Tu torni a sfogliare il catalogo di pistole e accendi un altro cero con la sigaretta.

Non mi hai mai chiesto nessuna ricetta. Pensavo avessi paura di non aver più bisogno di tornare.

Il frigo aprendosi illumina lentamente quell’altare che è la tavola del cuoco – o il contrario, che così scivola via dal buio di un’adorazione notturna appena trascorsa. Estraggo dal tabernacolo i fiori di zucca, mentre cerco invano il tuo sguardo con la coda dell’occhio.
«Ho girato tutta Parigi per trovarteli!»
Lampeggia un fulmine e, con il riflesso dei ceri, è l’unica alterazione sul tuo viso.
Sbotti col tuono, mentre eviro i fiori dal pistillo: «Mi sembra che stavolta te la stai cavando con qualcosa di troppo facile, rital».
«Facile?! Semplice, sì, e insieme raffinato! La raffinatezza della semplicità, paradosso così depechemodiano…  sono molto più raffinati ed emozionanti due spaghetti coi fiori di zucca, sobri come un loro riff, che quei complessi assoli di chitarra di una supreme di pollo al latte di cocco, il cui unico sapore percettibile è il virtuosismo!» e calo i fiori tagliuzzati nel frittino.
«Depechemodiano…»
«Non una sola listarella di zucchina, non un cubetto di pancetta, né dello zafferano confonderà il sapore dei fiori».

Io non posso voltarmi, perché sto salando la pasta, ma sento che finalmente uno sguardo mi prende. Forse non è il tuo, forse è del rosso boa che ti giri al collo. Ma scommetto che vuoi dirmi che sono pessimo, pessimo amante, pessimo cuoco.
Allora ti tirerei i capelli. Insomma che hai?, ti chiederei, che cosa vuoi da me? non scopiamo più da mesi, neanche fuori da questa chiesa! perché vieni qui?
Ma so che mi risponderesti, vedi litighi anche con l’amante, anche!, ti rinfaccerei, come anche? io, io non sono nemmeno sposato! io sono un prete!

Ma i fiori si sono già appassiti, e basta così. Non devono avere un’ammaccatura, non una crosticina. Solo appassire.
Ebbene è pronto. Andiamo a mangiare sulla jubé.

Non mi hai mai chiesto nessuna ricetta. Penso fossi troppo orgogliosa, o non te ne importasse nulla.
Però ti assicuro, non ho mai creduto che una ricetta potesse interrompere i nostri appuntamenti.
Ecco perché, la settimana prossima, quando verrai, troverai solo questa ricetta che ti ho scritto, e nessun altro più in cima alle scale di Saint Etienne du Mont.

Santa Genoveffa non se la prenda, il Diavolo mi perdoni.