Sicuro: non puoi andare a letto alle sei e sperare di sopravvivere a quello che non sei. Qui, tutto è cronaca e, al contrario, si sospendono le ferie per lavorare. Lascia perdere Johnny. E quegli altri: fatti in serie. Dell’interrogarsi attorno a un orario non è rimasto che l’intento, sfuso, sfuse le ore: una alla volta le cogli, le soppesi, ne ricerchi il senso. Si può immaginare, non so, l’una senza le tre? Le diciassette di un sabato pomeriggio senza le quattro della notte in cui sei nato? Le ore sono come le spille. Gli spilloni di sicurezza dei giovani del ‘77 ma anche quelle piccole, alla moda, che indossano gli adolescenti di oggi. Le devi appuntare. Le appunti tutte addosso, sul corpo nudo, di modo che la prossima conoscenza possa conoscere il tuo tempo in anticipo.
Bel tempo di merda.
Dico, se lo conosci in anticipo.
A noi tutti è dedicato un tempo solo; se ci si declina secondo altri orari, sono brandelli di pelle e carne che si strappa. Poco male se vivi in una grande città – macelleria urbana, si sa – danno irreparabile quaggiù tra i terrestri. Ogni minuto si dilata fino a gonfiare il petto su quello successivo. Gli urla nelle orecchie: fatti da parte, di qui non si passa mica in due! E lo stesso fa quell’altro. Le ore – dunque, le ore – si gonfiano l’una sull’altra; piscine gonfiabili al caldo di campagna. Dentro ci sei tu che nuoti pensando all’oceano.