gigi meroni e la gallina al guinzaglio

Il 15 ottobre del 1967 moriva Gigi Meroni, ala del Torino. Celebre non solo per il talento, ma anche perché fu il primo calciatore a esibire una certa personalità fuori dal campo, una personalità in qualche modo artistica, fatta di abiti disegnati da sé, pittura e galline al guinzaglio. Meroni morì a ventiquattro anni, investito da un’auto. L’auto era guidata da Attilio Romero, futuro presidente di uno dei più brutti Torino della storia.
Anni fa ho scritto un racconto su Gigi Meroni, si intitolava La gallina al guinzaglio e finì in Jukebooks, un’antologia digitale di racconti a cura dell’editore Quintadicopertina. La cosa funzionava (e funziona tuttora) in questo modo: da questo link potevi selezionare i racconti e comporre un jukebox di storie da acquistare e scaricare sul tuo lettore ebook. Da allora gli ebook reader in circolazione sono aumentati, ma non so a che punto siano le vendite dell’antologia o del mio racconto. Quindi lo pubblico qui. Sperando che quelli di Quintadicopertina non se la prendano.
Buona lettura.

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Qualche notte fa sono tornato a sognare. Torno alla notte per sbaglio, in attesa di risarcimento. Sogno solo per sbaglio, sì, sogno quando non dovrei, quando dormo male, e tanto meno intenso è il sonno tanto più impresso nella sinistra memoria mattutina è quanto ho visto e ascoltato con gli occhi chiusi. Per dirne una: qualche notte fa ho sognato che Gigi Meroni era vivo. Non c’era stato alcun incidente, nel ’67, o almeno credo, perché i sogni non è che stiano lì a dar conto di antefatti o spiegazioni. Insomma, Gigi Meroni, il numero sette del Torino degli anni ’60, il quinto Beatle, il fantasista-pittore, era vivo e vegeto si apprestava ad attraversare quarant’anni di storia d’Italia.
Nel Torino non era comunque riuscito a vincere alcun titolo, ad eccezione di una Coppa Italia; gli Agnelli erano tornati alla carica, lui aveva tenuto duro, però il rapporto con Fabbri V era andato a farsi benedire come in nazionale così alla fine aveva ceduto alle tentazioni del Milan. La farfalla granata, originaria di Como, che per poco non era finita a giocare nell’Inter da minorenne, nel mio sogno terminava la sua carriera coi rossoneri, nel ’76, a trentatré anni. Ma la parte più interessante del mio sogno arrivava dopo.

Insomma, faccio dei sogni in cui la successione degli eventi è piuttosto singolare, persino per una narrazione notturna, che è il nome che do ai sogni; in termini di narrazione, appunto, si tratta di una scansione fortemente ellittica, tipo il sommario di un film: osservo i protagonisti dei miei sogni evolversi di scena in scena, solo che tra una scena e l’altra possono passare molti anni. Così vedo Gigi Meroni salutare in lacrime il pubblico di San Siro, poi vedo le immagini di un servizio televisivo in cui un giornalista che potrebbe essere Emilio Fede chiede ad alcuni tifosi del Torino cosa pensano del ritiro di Gigi Meroni, che è stato, fino ad allora, il calciatore italiano più pagato della storia; e quelli, col fare timido e ipocrita che hanno gli italiani dell’epoca in tv, dicono che Gigi Meroni è sempre stato milanista nell’animo, un venduto che pensava solo a se stesso – si capiva da quelle parrucche e dai vestiti colorati – e poi quel gol all’Inter nel ’67 parlava chiaro, anche se all’epoca vestiva la maglia granata; e subito dopo vedo Gigi Meroni che rispunta fuori a inizio anni ’80: fa una comparsata nel film Sogni d’oro di Nanni Moretti, credo al posto di Giampiero Mughini, nel ruolo di un cinico e detestabile presentatore televisivo. Poi sparisce nel nulla. Qualcuno, nel sogno (anche se non ricordo chi), dice che Meroni ha preso parte a una memorabile e miserabile – come ogni cosa degli anni ’80 – puntata di Drive in, duettando col commissario Catozzo; ma non c’è traccia di quest’apparizione su Youtube (neppure nel sogno). Certo è che Meroni ritorna negli anni ’90 al Maurizio Costanzo Show, dove riprende a vestire degli abiti che, dice, disegna ancora da solo, e in effetti poi lancia una sua linea d’abbigliamento che finisce in malora dopo qualche anno; nel frattempo Fabio Fazio lo invita in una delle prime edizioni di Quelli che il calcio, richiamandolo ancora per un fugace cammeo in Anima mia. A questo punto Gigi Meroni scompare del tutto (qualcuno, nel sogno, dice che per un anno appena ha fatto l’assessore alle politiche giovanili a Como, ma ci credo poco).
Lo rivedo in tv, nel 2003, sempre a Quelli che il calcio, questa volta con Simona Ventura. Meroni ha sessant’anni e un comico trapianto di capelli lo rende terribilmente attuale. La Ventura lo presenta come ospite per un’intervista, e lui arriva in studio con una gallina di gomma al guinzaglio, scimmiottando il gesto che lui stesso aveva compiuto negli anni ’60. Diventa così ospite fisso per una decina di puntate. Poi passa a Mediaset. A Controcampo interpreta l’antagonista, questa volta sì, di Giampiero Mughini. Meroni si professa, chiaramente, di fede torinista («da sempre!») e in studio si becca i fischi dei tifosi milanisti, torinisti e juventini; oltre alle pernacchie di Mughini.
Il sogno finisce così: qualche anno dopo, Meroni sta per andare all’Isola dei Famosi. Quando apro gli occhi, ho la certezza che non vi abbia preso parte: dev’essere per le sue condizioni di salute (è un ultrasessantenne grasso, da oltre trent’anni accanito fumatore) o perché, guarda un po’, la sua Cristiana gli ha fatto cambiare idea.

La mattina dopo ho pensato a un incubo. Ciononostante, la notte seguente ho dormito meglio, e credo di non aver sognato. La notte dopo ancora, invece, Gigi Meroni è tornato. Questa volta la prima immagine è stata il gol all’Inter, la palombella dall’improbabile parabola con cui ha beffato gli indistruttibili nerazzurri di quegli anni. La sera del 15 ottobre 1967, nel sogno, Meroni non dimentica le chiavi di casa. Perciò non ha alcun bisogno di cercare un telefono pubblico e si limita a fare una passeggiata col suo amico e compagno di squadra Poletti (a questo punto è chiaro che Attilio Romero non diventerà mai presidente del Toro e che i granata non conosceranno mai il fallimento, almeno nel sogno). Gigi Meroni non vince scudetti, neppure stavolta, ma riesce a battere la Juventus nel derby della stagione 1972-73 in cui, a differenza di ciò che è accaduto nella realtà, il titolo andrà alla Lazio, la quale lo rivincerà anche l’anno successivo. Nel ’73, a neppure trent’anni, il capellone Meroni si ritira (altro che Platini!), e nel frattempo avrà imparato ad apprezzare Fabbri V, di cui dirà in una delle sue rare interviste: «Mi ha dato la disciplina. Senza di lui e senza il calcio chissà dove sarei. È stato il padre che non mi ha mai compreso ma che ha imparato a rispettarmi. A differenza di Rocco, il quale mi ha rispettato illudendosi che questo lo avrebbe aiutato a comprendermi, un giorno».
Nel 1970, prima della discussione parlamentare sul divorzio, Meroni viene corteggiato dai giornalisti per via delle sue vicende personali per cui è già stato crocifisso in passato. Lui vive da tempo con una donna sposata, la polacca Cristiana, che ha lasciato il marito per andare a vivere nella mansarda della farfalla granata. Meroni riceve numerose offerte da parte di tv e giornali: ma non parla. Anni dopo dirà che Cristiana, e la relazione con una donna sposata, erano un fatto suo, nient’altro che un fatto privato, «uno spicchio di vita privata in un paese adolescente».
Anche in questo sogno Meroni scompare per tutto il resto degli anni ’70. Pare che sia andato a vivere per un po’ a Parigi col suo amico Nestor Combin, a cui mancano tre gol e una febbre alta. A Parigi, ma questa è un’ipotesi, Gigi riesce a sperimentare l’anonimato che in Italia gli era precluso; e quell’anonimato gli consente di esporre alcuni dei suoi quadri – per cui, e questo non solo nel sogno, aveva ricevuto gli elogi e i complimenti di Guttuso – in alcuni locali frequentati da artisti e musicisti francesi.
Meroni, e questa è pura indiscrezione da sogno, potrebbe riapparire sulla scena pubblica italiana alla vigilia dei Mondiali dell’82, quando rilascia una lunga intervista a un telegiornale; ma è poi lui stesso a bloccare il servizio, in cui si era scagliato contro gli scandali del calcioscommesse e la corruzione nel mondo del pallone, perché gli era sembrato di una banalità disarmante. Ma di questo, appunto, non c’è alcuna conferma all’interno del sogno.
Nel corso degli anni, Meroni riesce a schivare intervistatori del calibro di Gianni Minà, Fabio Fazio, Nando Dalla Chiesa, Gianni Minoli, Corrado Augias, Gianni Mura, Steve Della Casa, Simona Ventura, Enrico Varriale; tutti pronti a chiedergli un’opinione illuminante circa i dualismi Baggio-Del Piero e le difficoltà di Baggio con Sacchi e, da ultimo, di Cassano con Lippi; su Baggio, se solo ne avesse avuto voglia, Meroni avrebbe detto: «Su di lui posso solo dire che non ci farebbero giocare insieme neppure nei sogni»; e su Cassano: «Io sarò stato artista coi piedi, col pennello, coi vestiti; il ragazzo, credo lo sia davvero nella vita. Per il resto non c’entriamo un bel niente, come Beatles e Rolling Stones». Su Bobo Vieri, Meroni ha preferito non pensare nulla: il padre Roberto è ancora un amico di famiglia.
Così adesso pare che Meroni goda di un parziale anonimato al di fuori della provincia di Torino. La qual cosa gli consente di girare tranquillo la penisola in lungo e in largo come pittore. Per la cronaca, adesso è un signore piuttosto magro di sessantasette anni, rasato, con un’aria tra il distinto e il perennemente dubbioso; le sue opere vanno forte in Francia e, per qualche strano motivo, in Calabria, dove gli dedicano una rassegna a ottobre. Lui cerca di non mancare mai. Ogni tanto, guardando il ritratto di Cristiana a cui mancano gli occhi «che non avrei saputo dipingere», a qualcuno torna in mente quel gol segnato all’Inter, quello dalla parabola assurda che ricorda il mezzo volo di una gallina; in quel caso, si fa finta di niente.