Da piccolo quando ero a casa mia e pioveva sopra le lamiere chiudevo gli occhi e mi sembrava di sentire gli applausi. Ora gli applausi mi arrivano calorosi veramente e sento che la mia famiglia è il cinema e siete anche voi.
Funziona così: disprezziamo Thom Yorke quando si libera dal peso di essere se stesso in quel brutto corpo da mostriciattolo sociopatico per diventare un personaggio glam a tutti gli effetti; al contrario, amiamo Marcello Fonte per la sua orrida fisionomia, per la calabra dizione incerta e la biografia assurda da freak – senza, in molti casi, aver neppure visto Dogman, per cui il nostro buon selvaggio ha vinto la Palma d’Oro a Cannes (vera motivazione, verrebbe da dire: “Per essere rimasto se stesso”).
E poi quel cognome. Fonte. Purezza, rinnovamento, sincerità: tre qualità che Marcellino col suo discorso a Cannes ci ha fatto sentire per interposta persona (o personaggio). Del resto è ciò che chiediamo all’arte, anche fuori dal palcoscenico: trascendere la nostra condizione quotidiana, i nostri ipocriti, impuri ma luccicanti sogni di gloria. In una sola parola: redenzione. Lo chiediamo all’arte – almeno in certa parte d’Occidente – perché non possiamo più chiederlo alla fede.
(E neppure a certo cinema italiano, potremmo chiederlo: certo cinema italiano sempre didascalico e perso nel ribadire l’ovvio, privo di ogni slancio verso un altrove credibile e inventato al tempo stesso; per questo ci piacciono Garrone e Mainetti, perché vanno dove non c’è luce con la fiaccola della pietas – mai della retorica – e dell’immaginazione, con una precisa idea di estetica non ancora cannibale. Per questo ci piaceva anche lo sguardo di Sorrentino prima della narcosi estetizzante – altrimenti detta sindrome di Parr, che tutto imbelletta nel kitsch dorato; Sorrentino che ne L’amico di famiglia riusciva a trovare l’equilibrio perfetto tra forma personale e freakshow più temerario.)
In certa parte d’Occidente, dicevo: perché nell’immonda periferia meridionale – più periferia che meridione, a dirla tutta – in cui Fonte è nato, e persino in certi ambienti romani in cui è cresciuto, questo nostro remoto sognare è altrettanto ipocrita. O più semplicemente non esiste: dubito che qualcuno vorrebbe davvero essere Marcello Fonte, soprattutto prima dell’arrivo della parte della favola di Cannes.
Una volta ammesso questo, è soprattutto per questo che abbiamo bisogno di lui.