Tre considerazioni su Raymond Carver è il titolo dell’ultimo speciale di inutile. Contiene tre articoli, firmati rispettivamente da Licia Ambu, Rita Mariateresa Mascia (ovvero la proprietaria del gatto Raymond) e Matteo Scandolin; è aperto da una mia introduzione, di cui riporto questo brevissimo estratto.
C’era più di un motivo se leggevo Carver ad alta voce. Uno tra i tanti: le sue poesie sono spesso semplici racconti che vanno a capo — gran ritmo, zero solennità, solo qualche stralcio da vite che mi piaceva pensare simili alla mia. Andò a finire che quelle poesie le imparai a leggere a memoria — cosa ben diversa dal semplice imparare a memoria una poesia — e con degli amici organizzammo una lettura pubblica tratta da Orientarsi con le stelle.
Alla lettura venne un sacco di gente. A quanto pare tutti amano e leggono Carver, pensai alla fine. Ma c’era di più. È che a volte ci arrivo tardi, per cui questa cosa l’ho capita davvero quando ho visto Birdman, il film di Iñárritu: il punto è che Carver è un classico. Può sembrare che i suoi libri siano tuttora un piccolo segreto che gira di voce in voce in una setta altrettanto segreta di lettori più o meno forti, ma non è così. Carver è ovunque: nei libri di altri autori, in quelli dei suoi tristi epigoni, nelle scuole di scrittura, nel cinema, nella musica, nella pittura, nel teatro. Lo percepisci anche quando non c’è, e come ogni classico che si rispetti finisci col leggerlo anche se non lo hai mai letto.