Ultima festa: continuo a non credere, continuo a non voler mettere il naso, per coerenza, negli affari di chi si dice credente. A parte un fitto discorso con me stesso, non credo che un intreccio di fasci luminosi che avvampa nel cielo buio e terso di questi giorni possa essere appiattito in convenzione, né che possa essere ridotto in serie di norme ciò che per definizione è fuori norma, fuori formato (tanto più se ipotizziamo un Libro). Ma ecco che lo sto facendo: mi sto infilando nella grotta, per curiosità, forse per dispetto, come chi va in visita a una mostra di presepi per valutarne la fattura, disinteressato della sostanza.
Percio voglio chiudere il discorso sul merchandising di Cristo: non credo alle belle statuine, e del resto cerco ancora il senso del pupazzo-pizzaiolo di certi presepi meridionali. Il forno era elettrico già allora? Gli anacronismi accertano la verità della finzione, come la maschera svela molto più del volto che si cela dietro di essa.
La posizione ideale, allora, è quella dei magi, di chi fa da ponte tra scienza e alterità, tra cielo e pianeti e certifica per tutti l’ipotesi della stella che porta l’alieno sulla terra. Cosa videro nella caverna quegli uomini d’Oriente? Un bambino, due adulti atterriti dagli eventi, forse anche delle bestie timorose di morire di gelo non meno di quei tre bipedi. E poi tanta roccia gelida, inaccogliente. Cosa c’era da rallegrarsi? Ben poco. Da stupirsi? Ancora meno. A meno di non estendere la sostanza di quel luogo al suo etimo.
I magi videro il grottesco, il bizzarro, la proiezione dell’immagine del bambino futuro sui muri della grotta come pitture rupestri. Videro la storia per intero e reagirono da umani, non credendo a quello che andava creduto (che poi credettero perché troppo incredibile per non essere creduto) – perciò il riso fu isterico, non di gioia: si può gioire per l’assoluta solitudine di un alieno sulla terra, quale che sia il padre, il mandante del futuro assassinio? Si può gioire per la sproporzione tra il corpicino nella mangiatoia e il suo destino? Non fu la cosa in sé né l’immagine attuale e fattuale dei genitori e del bimbo a stordire i magi, quanto il rapporto tra quell’immagine e la sua relazione improvvisa, futura, persistente col mondo: fuori portata, impossibile da ridurre in dimensioni accettabili per la dignità umana. Un atto di fede, ma già compiuto.
Riportando questa storia ai giorni miei, credo – in questo caso sì, lo credo – che un sentore di questa sproporzione possa essere testimoniato da chiunque abbia mai provato a ridurre i suoi pensieri nella forma di un libro: tutti i libri discendono da Quello, è risaputo, e come quello Quello tentano la compressione di un’irriducibilità nell’orma, nello stampo che mentre progetta la cristallizzazione si rivela già effimero, sconcluso. In altri termini: è vero che io sono molto più di quello che posso testimoniare attraverso la sintesi e la convenzione di un involucro, e che quando non sono osservato né raccontato sono il mostro che muta febbrilmente forma e sostanza nella tensione infinita verso la cometa – ma non c’è alternativa. Perciò per chi non crede ogni libro è un compromesso, l’unico testo possibile tra i tanti che d’altronde non avrebbe potuto essere: per chi crede invece è un miracolo.