In questi ultimi giorni il mio equilibrio psichico dipende da due libri, entrambi con copertina gialla. E dire che non ho mai amato il giallo. Comunque, uno dei due libri in questione è il mio, e il cruccio trae origine dal suo essere un accordo politico tra più parti manco fosse il patto Ribbentrop-Molotov (per inciso, tutti gli accordi politici, dietro dense patine retoriche e attori romantici, nascondono un semplice mercanteggiare del sabato mattina).
Detto, ciò, l’altro libro, che ho rubato (io che non rubo mai oggetti) e di cui non farò il nome dato che in genere non cito prima di aver finito di leggere, è un libro moderno, nonostante sia stato scritto decenni addietro e in un’altra lingua – non per questo inavvicinabile, anzi. E’ un romanzo che si occupa di uno degli ultimi due tabù rimasti per questa epoca senza nome, dal punto di vista occidentale. Bisogna starci attenti, prendergli le misure, e trovare la giusta distanza, infine.
Io non l’ho ancora trovata, ovviamente.
E’ forse merito o colpa di quel tempo presente in cui parla il protagonista, costretto al voyeurismo e ad altre cose di cui non parlerò dalla sua indole pigra e a/occidentalmente intellettuale. Il tempo presente del racconto che è il solo che può continuamente aggiornare consapevolezze e sensazioni, il fissare gli oggetti e i brontolii dei corpi e lo scavare piano in profondità, insieme al tema – ripeto: uno degli ultimi due tabù di quest’epoca senza nome (lo ammetto, appellativo derivato dagli Arcade Fire) – tutto ciò fa di questo libro con la copertina gialla qualcosa di estremamente pericoloso e, per me, una delle tre esperienze circolari e finali di questi giorni.
Una cosa moderna, insomma – nel momento in cui mai come ora ho sentito distante ogni esperienza che fosse percepibile come antica.
Di seguito, tre estratti, a partire dal fulminante incipit. Questo libro mi sta sconquassando.
«Così distante quel tempo, e privo di ogni attinenza con la mia vita quel mondo di sentimenti, di interessi, di azioni. Perché ho sognato poco fa, di pieno giorno, seduto di fronte alla finestra chiusa, quell’episodio insignificante, del resto ben dimenticato?»
«Avrei bisogno di evadere da questo nodo di pensieri. Restituirli all’oscurità da cui affondano da dieci anni. Ma non c’è un mondo intorno a me, in questi giorni, e adesso capisco che matrice di concentrazione è l’isolamento. Logico che l’uomo di oggi, superficiale forse per istinto di difesa, lo abolisca anche nei conventi, nelle prigioni; ci sente la condizione dell’intensità, un modo di essere opposto e mortale al suo.»
«In margine (voglio crederlo) al mio individuo, c’è uno spettatore, per cui quel letto è un richiamo a eccitanti segreti, in lei e in me specialmente. E non rinuncia a impadronirsene.»