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[foto: lucepotabile]

“Ammettiamo che di comune e felice accordo, nel segreto della nostra casa, senza dar turbamento a chicchessia, ci consacriamo a questo affetto vicendevole e ne soddisfaciamo gli impulsi, quanto meno sentimentali; è l’incesto, o la imminenza dell’incesto. Una parola che ha preso, per millenni, un suono pauroso; e me ne sto accorgendo. Bene, mi dico, e sotto la parola, cosa c’è? […]
C’è una pratica di cui gli uomini si sono serviti, forse giovati, per altrettanti millenni, andata in disuso per il sopravvenire di considerazioni grettamente mercantili (figlie e sorelle divenivano beni di scambio, sicché non si ha più convenienza a tenerle negli harem domestici); o magari contrastata, soppressa, per un calcolo sordido di politica tribale. Altro che totem! E oggi? La nostra sterilizzata società se ne astiene: perché non serve più e perché urta i, non so quanto stabili, assiomi di una scienza chiamata eugenetica. Un ramo della zoologia. Ma in nome dell’eugenetica, voglio sperarlo, non si danna nessuno. Per questo, occorre una morale. La mia provata moralità, quella a cui credo, se anche non la rispetto sempre, certo non fa allo scopo. Consiste tutta in due regole, l’igiene personale e la serenità dello spirito: e con siffatte regole, è raro che l’amore si accordi, intendo anche l’amore amoroso, compreso l’amore fra ascendenti e discendenti, e fra collaterali. E’ chiaro, occorre una morale dogmatica, sia religiosa o no; o almeno, una morale codificata. Ce n’è parecchie, notoriamente. E di pietre a scopo lapidatorio, ne forniscono con molta abbondanza. Oserei dire a onore dell’umanità, che quelli che cominciano a mancare sono i candidati lapidatori.”

“Qualcuno ora dirà che il tuo papà non ti ha avuta cara abbastanza da compensarti di quello che chiedevi, e non poteva darti. E’ ingiusto. Non avrebbe mai potuto compensarti. Mai soddisfarti. Non è questo, bambina mia. A separarvi, è stato quel vitale bisogno che prova l’essere umano di uscire da un io per interferire, assimilarsi, ossia sconvolgere, snaturare. E hanno torto tutti quanti a non accorgersi di questa necessità (tutti, non lui), che amare è intervenire nell’esistenza di un altro, annetterla, negarla: capisci?”

[Guido Morselli, Un dramma borghese, Adelphi]

[QUI la mia recensione su Anobii]