Lester Bangs intervista inedita
Due cose mancano da un po’ nella mia vita: un ampli Eko 15/30 watt e gli scritti di Lester Conway Bangs. L’ampli è sparito dal mio garage da un giorno all’altro. Così è finita la mia carriera di chitarrista. Quanto a Lester Bangs, invece. Ho letto i suoi testi per anni. Una vera Bibbia. E sì, ero davvero convinto che fosse il più grande scrittore americano. Solo che scriveva di musica ed era un umorista. Qualche mese fa ho pensato di riprendere in mano il suo Guida ragionevole al frastuono più atroce. L’ho portato in bagno. Ne ho sfogliato qualche pagina al giorno. Finché non ho deciso di rileggerlo per intero di notte, nella vasca. Il fatto è che mi sono addormentato col libro aperto sul naso. Quello che segue è il risultato di quella nottata in vasca da bagno.

Lester…
Aspetta, amico. Una domanda te la faccio prima io. Che diavolo ci fai nudo?

Be’, Lester. Per me questo è un momento strano. È una sorta di ricongiungimento col passato. Sono cresciuto coi tuoi scritti. C’è anche il fatto che sono venuto al mondo pochi giorni prima della tua morte. Non voglio mitizzarti, ma…

E devi farlo nudo?

No, è che… Come fai a vedermi? Non dovresti riuscirci, non capisco.
Lasciamo perdere. E poi questa cosa delle interviste ai morti l’hai rubata a Vonnegut.

Ti sbagli, di solito io non intervisto i morti. Forse l’idea generale deve qualcosa a Kurt Vonnegut, ma…
Be’, io sono morto.

A proposito. Sapevi che il tuo amico Dave Marsh s’è inventato una nota scritta da te, dopo morto, in cui dicevi di esser finito in paradiso, e che lì era tutta una gran noia e…
Preferirei non parlare dei miei vecchi amici.

Uhm. Dunque non parleremo nemmeno di… lui?

Oh, Louie Louie. Il caro vecchio Idiota, l’Iguana, intendi?

No, Lester. Lui in italiano si legge come… ma non è lo stesso. Non intendevo Iggy. Mi riferivo a Lou Reed.
Oh, Lou, Lou.

Esatto. Le tue pagine su Metal Machine Music sono state a lungo la mia Bibbia. Ci hai messo davvero quello che pensavi del mondo della musica pop. Ecco, tu hai definito quell’aborto di musica elettronica: musica folk. Un disco di soli feedback – senza neppure le chitarre –, quattro tracce di sedici minuti ciascuna di puro rumore.
Era un gran disco, lo ammetto. Puro rumore, dici bene. So che adesso è considerato una furbata commerciale da parte di Lou, ma non è così. Non era solo questo.

Appunto. Era la tua idea di musica.
Non lo so. So che Lou Reed all’epoca usciva da un periodo di totale rincoglionimento. Era un pagliaccio come Bowie, una maschera, neppure tanto tenera come Iggy. E tirò fuori questo disco. Metal Machine Music, pensai, questo sì che posso rifarlo a casa mia! L’idea del rock come musica democratica, Cristo. Questo avevo in testa all’epoca.

Stiamo parlando di Lou Reed, comunque. Lo stiamo facendo.
Esatto. Mi sta ancora sul culo per un paio di ragioni.

Pensavo aveste risolto.
Oh. Lascia stare. Cioè, lui è ancora vivo, capisci?

Sì. E avevi ragione su quella cosa dei turnisti tecnicamente impeccabili. Da un po’, Lou Reed fa solo dischi con turnisti tecnicamente impeccabili.

Era un pallone gonfiato. Ma un gran musicista. Però lo amavo quando suonava… uhm, male, diciamo. Soffriva la fama di John Cale. In un paio di occasioni mi raccontò che anche lui voleva far conoscere la sua formazione classica. Aveva studiato piano per non so quanti anni. Prima di impazzire, credo. Comunque. Diceva che John Cale non valeva un cazzo, però tutti erano fissati coi suoi studi.

E adesso abbiamo un Lou Reed molto più pacifico in fissa col Tai-Chi.

Che diavolo è, il Tai-Chi?

Credo si tratti di meditazione. Roba orientale.
Lo vedi che è rimasto un grande stronzo? A volte penso che John Lennon si sia suicidato.

Perché?
Per non fare quella cazzo di fine del cazzo.

Uhm. Sulla morte di John Lennon scrivesti un pezzo interessante.

Oh, sei bravo. Hai preso appunti. Peccato che le tue domande facciano schifo.

Lo era davvero, Lester.

Mmm… Parlarne adesso mi sembra banale, ma… Gli si è rivoltato il mondo contro. Il suo mondo. E John era abbastanza intelligente da sapere come tenerlo a bada. Lui sapeva… Oh, credo lo sapesse persino Paul, che i Beatles erano stati solo una cosa dagli anni ’60. Tutto qui. Poi erano arrivati i ’70 e, semplicemente, non c’era più spazio per loro. Il pubblico, i consumatori, questa cosa non la possono accettare. È un fatto che… credo abbia a che fare con la liturgia o i film di Leni Riefenstahl, non so se mi spiego… Loro devono ammazzarti, se tu sparisci o cambi o, che ne so, mostri il dito medio in faccia alla gente che hai contribuito a…

…illudere?
Ma no. Non lo so. Cosa vuoi che ne sappia. E comunque le tue domande fanno schifo, lo ripeto.

Ascoltami, Lester.
Ok, ma mettiti qualcosa addosso.

Non cercare di trasformare questa conversazione in una delle tue scazzottate con Lou Reed.
Ma tu non sei Lou Reed.

È vero.
Ecco, qualcosina l’hai imparata sul serio.

Ma tu avevi una venerazione per Lou Reed. E questo andava in contraddizione con la tua idea del tutto orizzontale della musica pop.
Oh, ma il vero Lou Reed non si poteva non amare. Alla follia. Era tutto lo schifo che non volevi essere. Il problema è sorto quando è diventato consapevole di essere uno schifo e di poter sopravvivere a tutto, droga, alcol, sodomie… Ha capito che poteva propinarci qualsiasi scoreggia o rutto gli andasse di farci in faccia. Era una maschera. Una fottutissima maschera scavata dall’eroina e dalle anfe.

Sei contraddittorio, Lester. Eri anche uno che odiava i megaraduni rock. E i concerti come comizi. Ci trovavi qualcosa di nazista. Dovresti vedere il Roskilde. Lo fanno ancora il Roskilde? O l’Heineken qui in Italia.
Be’, se ci sono migliaia di persone stipate sotto un palco a guardare un povero coglione che stona su due o tre accordi ripetuti fino all’ossessione… Un mucchio di gente a pagare e a dare ragione su qualsiasi cosa dica, quel coglione… È conformismo. È l’anticamera del nazismo, ok.

Sembri più moderato.
Be’, ti ringrazio. Ultimamente mi davano del moralista bacchettone.

In effetti, il passaggio da Detroit a New York si è fatto sentire, Lester. Eri meno… energico.
Lo ero. Cazzo, ero a pezzi.

Mi riferisco anche a un fatto tecnico. So che all’inizio della tua carriera da scrittore andavi avanti per ore, e il pezzo lo buttavi giù d’istinto, senza rivederlo. Poi ti sei fatto più attento. Hai iniziato a cesellare. Per qualcuno eri diventato un perfezionista.
Ho solo molti pezzi nel cassetto. Lasciati lì a morire. E chissà quanta merda staranno pubblicando adesso. Però sì, ho cominciato a vedere le cose da una prospettiva diversa. Forse mi preparavo a scrivere cose, diverse. Tipo il mio romanzo. Dovevo andare in Messico a…

Ecco, appunto. Greil Marcus ha scritto che gli americani dovevano fare i conti col fatto che il loro scrittore più talentuoso avesse scritto solo di musica.
…a scriverlo, Tutti i miei amici sono eremiti.

Mi ascolti, Lester?
…Avrei dovuto chiamarlo Tutti i miei amici sono fascisti.

Lester?
Fai domande del cazzo, tu.

Non sono qui per litigare, Lester. Sto solo cercando di dirti che non esiste più la critica musicale. Nessuno che dica, “ehi, quel disco fa schifo”, o che tenti di spiegartelo. Soprattutto qualcuno che tenti di spiegare, anche nello schifo più…
Resta il fatto che tu sei un cazzone. Ho visto qualcosa della tua roba, invece.

Davvero?
Sì.

Ehi.
Non credo che tu sia un mio epigono.

Non è mia intenzione.
Ma lo era. Solo che sei tutto così… intimidito, ecco. Ti sei fatto maltrattare. Persino umiliare in qualche occasione.

A cosa ti riferisci, Lester?
Guarda Giorgio Canali, come ti ha trattato. E quello scrittore esordiente o quel che era… Oh, e i Nobraino? Che domande del cazzo. Ci hai girato attorno. Non so cosa volessi estorcergli, ma…

I Nobraino ti sarebbero piaciuti. Sono un po’ come Iggy. Il loro cantante lo è. Solo meno violento. Ma lo è anche la loro musica.
Iggy non era violento. Era idiota.

Mi ha colpito una cosa, del tuo rapporto con Iggy. Ho l’impressione che avesse una sua tenerezza. Anche quando ne parli con Lou Reed. È come se voleste proteggerlo, che so, anche da David Bowie.
Quella si chiama pietà. Iggy Pop era sano. Aveva un corpo sano, meraviglioso, anche se lo umiliava ogni sera. Ma non aveva la benché minima consapevolezza di quello che…

E Bowie?

Guarda, è facile. Chi ha messo le parrucche al rock’n’roll sporco dei Velvet? Ce le ha messe lui, quel frocio.

Ma, musicalmente…
Rubava. In un periodo in cui rubavano tutti – e sto parlando di tutto il rock dagli anni ’50 in poi – lui rubava male. Senza stile. E allora metteva le parrucche.

Senti, voglio sapere una cosa. Dovrei smettere con le interviste?
Sì.

Perché?
Dai l’impressione di non crederci neppure tu.

Ma io non voglio molestare la gente come facevi tu. Voglio intervistarla. Voglio che parli.
Che senso ha? Parlano già da soli, quelli che intervisti tu.

Tento di farli parlare con dei lettori casuali, ecco tutto. Di metterli in contatto.
Sei un pervertito figlio del tuo tempo.

Lo eri anche tu. Tutta la mitologia del sessodrogarocknroll.
Naaaa.

Lo eri, Lester. Mi piacevi anche per quello, a vent’anni.
I miei o i tuoi vent’anni?

I miei.
Coglione.

Oh.
Spero che tu abbia capito che non sono pentito. Ho fatto tesoro, il che è diverso.

Sei patetico, Lester.
Oh, non ti rifarai su di me. Tu non sei Lou Reed.

Neppure tu eri Lou Reed. Però ti ostinavi a cantare.
Avevo un gruppo. Non è che mi ostinavo. Erano anni in cui davvero si poteva fare di tutto. E l’ho fatto.

Quand’è che cambiato? Quando sei diventato…?
Moralista?

Sì, moralista.
Potrei dirti ai tempi dei morti ai concerti, le violenze degli Hell’s Angels. Ma non lo so. I Clash. Il punk, quella è stata l’ultima speranza, prima che tutto diventasse finto. Cioè, lo era anche prima. Ma adesso lo era dichiaratamente, si andava su un palco per fingere, neppure per suonare.

Per fortuna che sei morto. Non saresti molto a tuo agio, di questi tempi.

Se lo dici tu.

Per cosa si andava sul palco, ai tuoi tempi?
Scopare.

Dai.
Ok. Suonare. E scopare. Scrollarsi di dosso la pena infinita di un’esistenza inspiegabile. Non c’era molto altro. E poi c’era il rumore. Da parte di gente che fondamentalmente non sapeva suonare, o imparava a farlo semplicemente facendolo. I primi Stooges non sapevano suonare, ma soprattutto: non avevano idea di quel che volevano fare. Nel Medioevo il baccano serviva a rilassarsi.

Un attimo, ferma. Credo però che quest’idea della musica abbia anche fatto dei danni.
Oh, ma non è un’idea della musica. È un’idea del suono. Della vita.

Non cambia il mio parere.
Non so a che tipo di danni ti riferisci. Di certo, quel mondo ne ha fatti, ma non certo o solo per la musica che proponeva.

Spiegati. È qui che volevo arrivare.

È stata l’industria. Ha creato dei personaggi. Le maschere, ti dicevo. E quelle maschere hanno imparato a prendersi sul serio. Si credevano Beethoven. Prendi gli Zeppelin. Da un lato proponevano la stessa musica che Robert Johnson aveva già suonato per strada. Da un altro necessitavano di accolite di fan in adorazione, e per adorare qualcuno devi stare ai suoi piedi. E questo è fascismo, o fanatismo religioso. Si creava la solita distanza del cazzo tra artista e pubblico.

E Lou Reed? Il punk? Non mi sembra che siano mai stati esaltati per le loro doti tecniche.

Lou Reed voleva essere adorato come un grande compositore, come ti ho detto. Con Berlin… ma lasciamo perdere. Nei confronti del punk c’era un altro tipo di atteggiamento. Che in generale funziona per ogni tipo di band: vivere emozioni per interposta persona. Metto su un disco dei Sex Pistols per sapere com’è tagliarsi le vene laggiù a Londra. Metto su un disco di Lou Reed per immaginarmi a farmi di eroina insieme a lui. Vivo un’emozione, in particolar modo il dolore, per interposta persona. E intanto la mia vita va a farsi benedire. Quella reale, intendo. È per questo che a un certo punto ci siamo ritrovati tutti prigionieri di corpi che non sapevamo come funzionassero. Non scopavamo più, nemmeno. E poi siamo finiti nei club. Dai grandi spazi aperti dei Grateful Dead a quei buchi per topi di fogna che sono stati i club.

Aspetta un attimo. Tu stai parlando di rappresentazione. Ha a che fare con Berlin quanto con L’anello del Nibelungo. Coi libri e coi film. È l’arte, Lester.
Chiamala come vuoi. Io nel rock avevo visto la fine dell’arte come la definisci tu.

E invece adesso abbiamo Internet. L’emozione per interposta piattaforma. Pensa che c’è un… sai cos’è un social network?
Spara.

Insomma, su Facebook puoi far sapere a tutti cosa stai provando semplicemente inserendo la canzone del tuo cantante preferito che dice che la tua tipa ti ha lasciato.
Fantastico.

Ti ho sempre trovato un formidabile umorista, Lester.
Sei tu che sei troppo serio, Marco.

Ma non è vero.
Sì. Dai l’impressione di non sapere dove stai andando.

Non pretendo di volerlo sapere.
Su Internet so molto più di quello che credi.

Ah sì? Cosa pensi di Myspace?
Credo che possa andare in culo alle major. Si possono creare dei circuiti interessanti. In cui si suona tra gente davvero interessata, insomma, che stabilisce dei rapporti umani. Può scarnificare la figura dei divi. Delle star. Però sono tutti troppo bravi, con gli strumenti.

A vent’anni la pensavo anch’io così, sulla tecnica. Però poi uno scopre altra musica, e… E tu stesso ti sei messo a scrivere con più cura, in fondo.
Ah, non credere troppo a quello che hanno detto degli ultimi anni della mia carriera.

È l’unica cosa che posso sapere di te. E di te hanno scritto i tuoi amici.
Puoi chiedere a me, visto che ci siamo.

No, Lester, sono le 5.38 di notte, qui. Non so da te. E poi faccio domande del cazzo, mi pare.
Ti sei offeso?

No, Lester. È tardi. Questa roba la faccio gratis, e se c’è un vantaggio, è che posso smettere quando voglio.
Ti sei offeso, sì.

Quando voglio.
Cosa?

Posso smettere di immaginarti.
Oh.

Io non sono Lou Reed, e tu non sei Lester Bangs.



Avanti, Lester, salutami.

Lo vedi? Mi hai chiamato Lester. Non hai idea di dove andare.

Ciao, Lester.
D’accordo, d’accordo. Ciao. E ricordati di essere felice, Marco.

Grazie.
…e rivestiti.