Cara Signora Lettura,
le scrivo una lettera, le scrivo una lettera piuttosto che rivolgerle direttamente la parola perché non ne ho il coraggio sebbene non si direbbe, sebbene io e lei, davanti al mondo, sembriamo essere in quella sorta di incanto e contatto diretto e interrotto che sa essere ogni discorso amoroso e allora le scrivo una lettera perché la sola idea di mostrarle i miei occhi adesso mi schianta al terreno e mi toglie le ultime briciole di coraggio e forza che sento d’avere e sappia, sappia che questa lettera non avrà tuttavia il ritmo e il respiro (figurarsi il fiato) di una lettera normale, perché almeno con questa mia vorrò essere io, vorrò pensare e una volta di più avere la presunzione di poter essere io a mandar lei con le gambe all’aria, per una volta e poi ancora per ogni volta che lei mi leggerà qui, com’è del resto tipico di lei, di lei in cui incappo e ogni volta che accade sono le mie, di gambe, a cedere, e però perdoni il modo sbagliato, io sono imperfetto e difatti dovevo dire “incappavo”, poiché il punto è proprio questo, anche se punti non metterò, il punto è proprio questo e cioè che io e lei non ci troviamo più, non ci becchiamo, non ci incontriamo, è un tempo illimitato e senza durata quello che si passa con lei ma le assicuro che allo stesso modo funziona quello trascorso senza di lei e così non so dire di preciso da quanto io e lei non c’incontriamo, ma di lei mi manca tutto, ed è comico dire una banalità del genere di una personalità degenere come lei che incarna o vorrebbe almeno incarnare l’ogni cosa, e vede, vede, dopo di lei è tornare a lambiccarsi con corpi inutili e freddi, con lei io e lei siamo stati in due a far l’amore ma dopo di lei è tornare a far gli entomologi con corpi inutili, l’ho già detto, e mi è impossibile, e difatti non accade, difatti non posso dire d’avere altro ma solo di non avere lei, Signora Lettura, per cui la domanda è sempre la solita, dove, dove, dove si è spezzato il filo, Signora Lettura, e chi lo ha spezzato, e chi non lo ha ricucito, e a causa di chi, gli italiani contemporanei che tendono a scrivere sempre da un cinquantennio prima, forse, o forse gli arguti russi sempre a un passo dalla furbizia di chi ha vissuto troppe vite, o quelle noiose scienze sociali che spacciamo per verità e vanità da fine secolo scorso, o piuttosto gli umoristi francesi umoristi anche quando volgono alla tragedia, o quei romantici inglesi, forse, forse è a causa loro che io e lei non parliamo, forse è per loro e per quel loro tendere dove tutto è alto e morto, e se è così siamo morti anche io e lei, Signora Lettura, io lei e tutti quelli che conoscevamo e che non rimpiangiamo, perché con lei è così che funziona, Signora Lettura, si rimpiange solo lei come se lei fosse l’accesso unico al mondo, come se solo attraverso lei si potesse arrivare all’altro, all’antro che è il cuore di ognuno, oppure, mi viene in mente adesso, oppure è l’effimero d’ogni poesia cui mi sono dedicato, è quel tipo di effimero che mi ha allontanato da lei, forse è questo, è a causa di quella rinuncia di ogni pretesa che è la poesia, e così io non ho potuto più crederle, Signora Lettura, come lei non ha creduto a me, Signora Lettura, e forse è solo questo, per me, se sono stato io, ad andare, e se invece è stata lei, ad abbandonare, allora se è stata lei io dove ho perduto, dove ho sbagliato, ma siamo seri, Signora Lettura, che non ho fatto altro e peraltro non ho pensato che meritassi altro, più di lei, più in alto di lei, non ho mai pensato che potesse esserci luogo migliore di lei per me, Signora Lettura, ma io so, io so che non è questo il punto e la questione è poi proprio che lei non è tipa da punti, non è tipa da reticoli con approdi certi cui appigliarsi, fermare questa corsa folle come rivolo di seme che è la vita di ognuno ma non approfondirò, non approfondirò quest’aspetto e solo le dirò ancora di luoghi, i miei luoghi, quelli in cui lei manca, dal letto in cui a tratti mi ha concesso calma e grazia, alla spiaggia in cui ci si percepisce unici ad avere lei al fianco, al treno in cui ho perso pezzi di lei, perché questo è quel che manca di lei, su tutto, il suo dare un nome ai luoghi in cui ero già stato e a quelli in cui mai sarò, questo è lei, lei che ha dato un nome a tutti i giorni della settimana confondendo quelli felici con quelli tristi e dando peso nuovo e leggerezza eterna ai miei sentimenti, confondendo anche quelli, e mi sovviene adesso forse un altro errore mio, il mio vivere assumendo il dubbio come certezza, e porre domande, essere io stesso una domanda e mi chiedo se non si faccia, se non sia vietato vivere di domande con una come lei che, com’è noto, è fatta per porne, per aprire il cervello a colpi di dubbi e carezze di pagine, e allora forse è stato questo, ma no, questo, quello e quell’altro, se io ho amato lei è stato per il poco di spiegabile che c’è in lei e che da sempre avviene nelle vite umane, quel non poter fare a meno di lei che accomuna noi tutti piccoli uomini, e allora, allora forse dovrei interrogarmi sul come lei agisce gli uomini, nelle vite degli uomini, di come trascina a sciagura quella mia sorella che altro non ha che le sue vite intentate, Signora Lettura, che ne ha da affittare in abbondanza nel suo armadio infinito, o dovrei forse dire di come respinge e poi attrae quell’altra mia vecchia conoscenza con gli occhi piccoli, di come la seduce e poi la rispedisce in solitudine a ripensarsi incapace, incapace d’ogni approccio, e infine penso a quell’altra mia conoscenza che lei attrae come il gatto col topo con delle pagine di miele, e lì lei la lascia a sciogliersi fino al sonno che porta al più solitario dei risvegli, Signora Lettura, io penso a tutti gli uomini che lei ha lasciato più soli di prima come me ora, me che ne scrivo e forse anche questo è causa del nostro non incontrarci ma soprattutto è difesa, per me, ora, è difesa per me ora non pensare all’abusato discorso del rapporto tra gli uomini e lei ma del suo con loro, che, mi lasci dire Signora Lettura, non è poi felice come lei vuol far credere e in fondo questa è una storia cui non ha mai creduto nessuno, ed è per questo che lei s’allontana, non da me ma dagli uomini tutti, tutti gli uomini che adesso la confondono con gli ideogrammi della Grande Rete, dove pure di lei si scova qualcosa, ma con più distrazione e distruzione di noia e compulsione, che sono le grandi sue nemiche e l’allontanano da noi uomini, noi uomini tutti, incapaci di noi, anche con lei, Signora Lettura, che doveva prendermi come promessa e minaccia e riportarmi a me, non a lei ma a me, Signora Lettura, e invece eccomi distante da lei ma imbevuto di lei e lontano da noi, lontano dagli uomini come solo lei ha saputo, nei secoli, allontanare, eccomi qui con l’unico segno che porto di lei su di me come si porta un anello al dito della mano sbagliata ed eccomi qui insperato ed inspiegato, perché di me lei non ha saputo sciogliere l’intreccio di sentimenti che come traffico di una grande metropoli mi attraversa e mi rallenta, m’ingolfa, mi blocca, incurante della cura che io ho avuto di lei, Signora Lettura, per ogni suo figlio illegittimo e per ogni sua guancia, inspiegabile rimane lei come la presa, finta e altrettanto inspiegabile, di certe gambe femminili ma lei, lei non è fatta di gambe, Signora Lettura, lei è fatta di guance perché così come si accarezzano certe guance io ho voltato le sue pagine mentre lei diceva, diceva e diceva troppo delle umane esperienze e mi portava al largo di vite non mie, diceva tanto e troppo e io non volevo sapere, in fondo no, io non volevo sapere tutto quello che ho saputo delle nostre miserie e così scegliendo, perché in fondo ho scelto io, scegliendo di sapere non ho restituito il maltolto, io che sono ladro comunque, non ho restituito ed ho tolto anch’io, ho tolto l’incanto che spetta agli ignoranti e forse è questo: che non voglio più sapere.
Ma sperare.
Con infinito amore ed eterno rispetto,
Marco