[Quanto segue è l’introduzione al mio Dizionario Immaginario, di cui avevo parlato qui.]

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Incontriamoci, sì: ma per andare al circo.
Circo che è mare e deserto insieme, mantra, Cina, glossolalia, recita il rosario l’ardore di ogni sud privo d’equatore: si è sempre a sud di sé quando si racconta. Alfabeto, formule base per formulare l’universo, il cielo, il circo, l’inferno: cortocircuito di a e di p, seduzione di z, x e g, accostamento di d e di j: logica infranta da leggi disumane ma prima dell’umano: miscela e scoppio sono rami dello stesso fusto.
Alfabeto, senza di te è sangue. Sangue senza pelle né ossa, sangue misto a niente, bada bene, non chiediamo qui l’omicidio. Solo mischiati, mischia i globuli, sia lambada anche per loro, mischia le strade, le tue, e gioca ai dadi.

d+a+d+i

E questo è circo.
Incontro.
Così il doppio di me rideva.
In alternativa.
Staccava i biglietti la B, maiuscola, con fare severo: si scherza ma non si scherza davvero. Siamo a scuola, imparerete il caso. Subito dentro, tra il pubblico, tante piccole m, e c, le vocali in prima fila. Applaudivano il direttore, il maestro, coi baffi attizzati dal fuoco di una F (maiuscola, anche questa). Entrava il domatore, i leoni, una G con tanto di frusta alle prese con n minuscole, odore di savana (j). Era poi la volta dell’elefante, L, barriva libertà correndo più su se stesso che in tondo. Il pubblico gaudente, il tendone un’enorme Y, ci sovrastava generoso come avesse le stelle (svariate, innumerevoli x): un lenzuolo, avresti detto (V).
Poi furono coriandoli (piccole c, capovolte però, e qualche ç), barzellette (z o t), foche (h!), dromedari (che banali, con le d) e l’immancabile piovra gigante (o, minuscola, sì).

E un filo di fumo.
In un batter d’occhio il circo svanì, evaporò, fu fatto polvere dai sogni dell’alfabeto. Tutta notte chini a raccoglier lettere, io e il mio compare, guardandoci in cagnesco per capire a quale lettera assomigliassimo. Le raccogliemmo tutte, fino all’ultima rimasta sotto il tendone, e ne riempimmo un sacchetto. Attendemmo l’alba e solo allora svuotammo il sacchetto sul prato. Tra i fili d’erba osservammo il quadro, la splendida composizione, il mosaico, il mostropasticcio che è ogni parola che impasta la lingua di Dante (A).
Così si erano mischiate le lettere che un tempo furono circo.
Quanto segue ne è il risultato.
Raccontiamo in due, io e il compare (doppio!, si dice doppio!), raccontiamo in due con voce di orco (P).