Devi avere un giardino fiorito, devi essere scolpita dentro, tu. Non c’è altra spiegazione. Quando taci, le tue labbra minime racchiudono l’oscuro, ed io cerco il confronto – che perderò; io bianco come il coniglio, io obbligato al cavare, dentista incauto e approssimativo. Allora dev’essere che il lavorio, il gentile martellante operato che spesso dedichiamo all’altro, tu l’hai dentro, opera in te un discorso solo tuo, e scommetto: ti scolpisce da dentro. Allora sì, io mi dico, favoleggio, di giardini meravigliosi – e se non sono giardini, sarà l’avorio o il marmo. Una reggia sfavillante, tu hai la Reggia di Caserta dentro, tu hai il liscio e l’eleganza dei posti visitati in gita in gioventù; tu hai la perfezione, la precisione che un po’ per timore un po’ per riverenza lasciamo al solito ad altre epoche. Non hai altra scelta, e ti mostri fuori senza forma apparente; ma così retta e precisa dentro, io lo giuro, io ci credo, un capolavoro, composizione che toglie il fiato: invisibile è il Paradiso solo per chi crede. Ed io credo, mi obbligano le labbra tue al silenzio. Io credo che dentro ci sia dell’altro: e se non c’è, allora io parlo da solo: io, io, io; in effetti.