Nella notte in cui tutto è stato e la tua donna ha dato un braccio per te e i comandi hanno ripreso a funzionare, in cui ogni cosa si appresta a rispondere e collocarsi; in cui sei un albergo al completo, ospiti e lasci rifocillare ogni senso, e il senso complessivo è completezza: conosci il delirio delle certezze e la serenità del dubbio, conosci la tua debole forza e ogni cosa s’aggiusta come deve: in quella notte sei al ritorno, non cercavi niente e hai trovato te: allora ti prende non una febbre né un delirio ma furore e spezzi la via: di colpo il passo è sghembo, incerto, poi devi: devi deviare; ti farai trovare come dici all’alba, sarai già là quando l’alba è pronta ad accadere, lì dove solo sorge il sole, nella città dei decollati e corsari; dove meno mordeva il ragno, c’era la tela ma non lui; ma prima – è di passaggio – la città dei diavoli, hai tempo sull’anticipo e dove più mordeva la compagnia in solitudine tu devi tornare, dove più accecava nella nebbia l’occhio spento ti farai trovare; nella città dove muore l’amore e ancora oggi si oltraggia la tua famiglia di oggi, tu ritorni, dove il drago mangia vergini e i suoi discepoli si cibano nello scempio del suo passaggio; dove a notte si fonde ogni tribù nel cattivo nome di idee oscene perché già morte; dove la carne è stufato, e si mischia per noia e solitudine di penisola nell’isola; ti concedi un’ora nella città dei diavoli, se non battaglierai vorrai almeno vederli all’opera – come dicono, raccontano, antologizzano – nella città che ti fece eterno giovane e mai uomo completo; ma niente: i primi passi sono nell’ombra del viale, poi ti addentri tra mura di pietra e tutto ciò che vedi è un gatto su una colonna, da lì osserva calmo e giudica il nulla – solo nel nulla i gatti si aggirano lievi; ancora sotto archi di pietra e viottoli d’argilla è il nulla, solo la tua ombra, la città dei diavoli è calda anche di notte; ma vuota come mai; uccelli notturni – ma non rapaci, neppure loro – si lanciano in volo e quell’aprirsi di ali è il solo vagito del buio, non fiato di uomo corrotto né desiderio femminino ansimante; sei alla chiesa e neppure lì, neppure per il vezzo anziano e rammollito di violare il sacro, si manifesta qualcuno; prosegui, sei al colonnato dei diavoli nuovi, vuoi tornare, se ti vedessero? passavo, diresti, passavo per incontrare qualcuno nella speranza di incrociare almeno me stesso per il vostro sterile diletto; ma niente, non torni, sei venuto qui per questo: il colonnato è vuoto, qui dove sei stato trafitto per trafiggere a lungo, neppure l’ombra di un demonio; ed è più grande umiliazione per esemplari del genere non tanto lo svilirsi in giro per l’inutile corruzione quanto il non più palesarsi; a lungo pagano il tentativo di rendersi non più eterni ma vani: e quel che non li ha uccisi, li ha vanificati; ti aspettavi i giganti e non hai avuto che ombra, la tua, che segue – fedele – la tua soltanto; allora puoi tornare indietro, riprendere il viaggio; ad averli ora, una delusione comunque: prosegui; la notte si fa blu e rossa di tramonto d’alba, sei nella città dei decollati e corsari; qui incontri la gentilezza del perdersi tra strade che non ricordi del tutto e che mai hai dimenticato davvero; la leggerezza di una lingua straniera che non chiede in cambio denari; il lavoro di chi dà da mangiare per mangiare poi a sera; e infine il mare che non conosce limatura di altra terra, solo due spicchi d’orizzonte e i lampi di un faro che a tratti illumina il tuo volto e quello di nessun altro, e una nuvola argento all’orizzonte che nasconderà il sole; le pieghe delle onde traducono gli scogli in necessità; le ultime presenze-assenze le lasci affondare qui; chi hai richiamato in campo, chi non richiamato ha tentato invano il ritorno; e i diavoli che tanto hanno detto e con un soffio ti hanno regalato una città che mai hai voluto per intero; e qui tutto affonda pacifico nel blu che si fa azzurro; un vecchio pescatore, contadino di mare, è alle tue spalle: lascerà affondare anche lui qualcosa in quest’alba senza sole e ti dà il cambio; certo è tempo di andare; ed ecco perché quella nuvola così alta e d’argento: perché tu possa lasciarti alle spalle quel rosso d’arancia dell’alba in cui li hai lasciati, in fondo al sicuro, nel mare della città che ha saputo dare senza togliere mentre già tagliava; qualcuno tornerà ancora ma sarà flebile il suo ululare, suono sintetico e regale che ti guadagnavi mentre annodavi le estremità del cerchio e non incontravi nessuno, forse almeno te stesso.