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Appena entrato nella vecchia locanda, il signor Nero venne accostato da un cameriere dall’aspetto orientale, il quale, con estrema gentilezza, fece subito strada. Il signor Nero si mosse tra i tavolini occupati dagli anziani astanti avvolti in nuvole di fumo, poi, raggiunto il paravento di carta di riso, ebbe un attimo di esitazione. Di colpo il profumo di oppio e vaniglia nel locale gli parve soffocante.
Dietro il paravento c’era una piccola porta di legno. Il cameriere sorrise nuovamente al signor Nero e spiegò che avrebbe potuto proseguire in solitudine.
Disse proprio così: in solitudine.
Superata la porta, il signor Nero si trovò in una stanza più grande dell’intera vecchia locanda, disegnata e tenuta insieme da muri di finto marmo e infinite piccole candele che coloravano il pavimento di un blando arancione.
Sull’immenso divano al centro della sala stava disteso il signor Bianco, completamente nudo e attorniato da tredici fanciulle: queste indossavano un velo color perla che le copriva dalla cintola in giù; alcune erano sistemate dietro al signor Bianco e ne massaggiavano le spalle e il petto, chinandosi su di lui e mostrando la scarna colonna vertebrale; altre, in basso, ne massaggiavano solo i piedi, sfiorandoli di tanto in tanto coi seni; altre ancora erano concentrate sull’addome; il Signor Bianco, prima di accorgersi dell’ospite, stava fumando da un narghilè insieme alle due uniche donne di colore in tutta la sala.

«Ti aspettavo» salutò il signor Bianco.
«Questa è buona» rispose il signor Nero. «Ti sei fatto un bel po’ di amiche» aggiunse.
«E tu non sei mai stato un moralista» rise il signor Bianco. Le due donne di colore lo seguirono nella risata.
«D’accordo» disse il signor Nero guardandosi la punta delle scarpe, «non sono qui per discutere. Avanti, devi venire con me, lo sai.»
«Non vedo perché dovrei. Io continuo a fare il mio dovere, qui, che tu lo creda o meno.»
«Invece sai bene che devi tornare, oppure la tua esistenza smetterà d’aver senso» insisté il signor Nero.
«Oh, no. Direi piuttosto che forse tu temi per te. Perché se io sono qui, in questo nulla metaforico in cui tutto appare neutro, se io sono qui e mi nascondo, mi confondo, allora è la tua esistenza a vacillare.»
Il signor Nero tacque il tempo di un sospiro interiore, poi contrattaccò: «E se la mia esistenza trema, quale altra fa tremare, se non la tua?»
A quel punto le donne smisero di muoversi e di ridacchiare. Alcune si sollevarono, altre si guardarono tra loro. Il signor Bianco tirò su col naso, forse sbuffò, infine si sforzò di esibire un sorriso in qualche modo rassicurante. Solo allora le donne ripresero le loro faccende, questa volta in silenzio.
«Forse è così che devono andare le cose, amico mio» disse il signor Bianco, a bassa voce ma in modo che il Nero potesse sentire, quasi a proseguire un discorso mentale lasciato in sospeso prima di quella stessa visita; e lasciò così scivolare il capo all’indietro sul divano, sul grembo di una delle sue fedeli puttane.