Il tempo è sempre più sfacciatamente radioso. Si sta tutto il giorno in acqua, si mangia all’aperto, si gioca a palla sulla spiaggia. Sembra la felicità. E io m’annoio. L’altra notte papà ci portò tutti in alto mare sul peschereccio di un suo amico di Lerici. Andammo molto al largo, verso la Corsica, aiutammo a calare e a tirare la rete, due volte. Un bellissimo spettacolo, molto eccitante. C’ero solo con la testa, non col cuore. Poi si cucinò un risotto alla marinara e un cacciucco. Mangiammo a bordo seduti sul ponte, su mucchi di corde, col fiasco che girava. C’era anche Cogan; e io parlavo quasi sempre con lui, perché mi pareva che avesse addosso qualcosa di Armand. Si vedevano a tratti scintillare i lumi della costa, e io ero interessata a sapere solo dov’era Livorno.
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E davanti a quella domanda, non c’è ricordo e immagine dell’estate che tenga; le partite a water-polo nella caletta, la pesca di notte che ci portò fin quasi sulle coste della Corsica, le gite sui monti, le cene in trattoria a Lerici o nei paesetti dell’interno da cui si tornava a notte fonda; Livorno, i fossi, è tutto scomparso, svanito, mai esistito. E questa cecità, questa idiozia è ciò che si chiama passione; e la gente ne va tanto orgogliosa da considerare men che niente quelli che non la provano. Io sono fierissima di non provarla. Io me ne vanto. Per me non c’è bene maggiore che avere gli occhi aperti, la mente chiara, la memoria così fresca che ogni cosa vi si mantenga viva e vera come nel momento stesso in cui emerse dall’anonimato per entrare nella nostra anima.
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Manlio Cancogni | Perfidi inganni