jp sartre

Lulù ritrasse l’alluce dallo spacco del lenzuolo e agitò un poco i piedi, per il piacere di sentirsi sveglia vicino a quella carne molle e prigioniera. Udì un gorgoglio: «Una pancia che brontola mi dà fastidio, non posso mai sapere se è la sua o la mia pancia». Chiuse gli occhi: «Sono dei liquidi che fanno glu glu dentro certi fasci di condotti molli; tutti quanti ne hanno: Rirette, io (non mi piace pensarci, mi fa venire il mal di pancia). Egli mi ama, non ama le mie budella, se gli facessero vedere la mia appendice in un boccale non la riconoscerebbe, non fa che smaneggiarmi, ma se gli mettessero il boccale in mano non sentirebbe niente dentro di sé, non penserebbe: “È roba sua”; bisognerebbe che si potesse amare tutto d’una persona, l’esofago e il fegato e gli intestini. Forse non li amiamo per mancanza d’abitudine, se li vedessimo come si vedono le mani e le braccia forse li ameremmo; dunque le stelle marine si amano tra loro meglio di noi; si distendono sulla spiaggia quando c’è il sole e tiran fuori lo stomaco per fargli prendere aria e tutti possono vederlo; chissà da dove potremmo tirar fuori il nostro, forse dall’ombelico».


Jean-Paul Sartre | Intimità