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Ho appreso dei fatti di Parigi mentre ero alle prese con la stesura della recensione di un libro italiano uscito qualche mese fa. Annichilito, ho dovuto interrompere la scrittura per qualche ora. Verso l’una di notte ho deciso che non mi andava di subire le immagini televisive com’è successo con il dopo Charlie Hebdo, quando mi ero lasciato ipnotizzare dalla perfetta drammaturgia della diretta (in split screen) tra il supermercato kosher in cui si era barricato Amedy Coulibaly e la tipografia di Dammartin-en-Goële in cui sono stati uccisi i fratelli Kouachi.

Credo che pochi ricordino che gli attentati di allora sono stati rivendicati dalla filiale yemenita di Al Qaeda e non dallo Stato Islamico. Che significa? Non ne ho la più pallida idea. In compenso, il libro di cui stavo scrivendo venerdì sera parla anche di questo. Di quanto abbiamo lasciato scivolare la finzione (letteraria, cinematografica) fuori dalle opere d’ingegno per farla penetrare nel racconto degli eventi di questa nostra epoca. Ho anche l’impressione che il finto, tipico di ogni opera di fantasia, stia lasciando il passo al falso, che è cosa ben diversa, o addirittura al verosimile. Insomma, detto volgarmente: credo che la bufala sia il genere letterario per eccellenza, di questi tempi.

In queste ore apprendo che Giuseppe Genna è stato interdetto da Facebook per un post sulla reazione francese dopo gli attentati. Il post non l’ho letto, a volte ho difficoltà a capire quello che scrive Genna. Ma credo che ancora più interessante sia capire la dinamica dell’interdizione. Non sono sui social network, ma da quel che so un profilo viene sospeso su segnalazione di altri utenti o direttamente da Facebook. Nell’uno o nell’altro caso credo che questo episodio (come altri) sia piuttosto inquietante, tanto più che non credo che Giuseppe Genna abbia scritto qualcosa di più offensivo di quel che si legge in cert’altri commenti o status.
E in ogni caso trovo incredibile che stiamo affidando la creazione di opinione pubblica, consenso o anche solo entropia a un’entità astratta e soprattutto privata come Facebook, in altri termini a un’entità di cui in fondo non si conosce il meccanismo più profondo. Un po’ come per la formula della Coca Cola. Tuttavia, se non passiamo intere giornate a bere Coca Cola, al contrario da Facebook passano affari e comunicazioni di ogni genere, a ogni ora del giorno.

Da più parti adesso si dice di continuare, di andare avanti. Di non fare il gioco dei terroristi. Credo sia inutile rimarcarlo. Non è che ci siano alternative. Io continuo a scrivere i miei articoli, non è che posso fare altro. Più che il gioco dei terroristi, allora, credo che per me e per molti altri sia più difficile evitare di fare il gioco degli occidentali che finanziano i terroristi. È una faccenda che tira in ballo le nostre abitudini quotidiane, il tipo di carburante che usiamo, i viaggi che prenotiamo, i film che guardiamo, le squadre che tifiamo, i quartieri in cui andiamo ad abitare: certi interessi trasversali si infiltrano ovunque, e il denaro, a differenza del nome di dio, è uguale dappertutto.


Folco Mondo, critico