Allora il vecchio diede una voce alla sua donna, tolse il paletto ed entrarono. Ma non ci fu tutta la buona roba assicurata da Meo, anzi mangiarono da porci, non c’era che polenta e cavoli freddi e una manciata di nocciole. E toccò mangiare quella miseria sotto gli occhi fissi del vecchio. Li sorvegliava, si lisciava continuamente i baffoni bianchi e diceva ogni tanto una parola, una parola sola. “Siberia”. Era il suo intercalare. “Siberia, siberia”. Giorgio non toccò la polenta e tanto meno i cavoli, mangiò una dozzina di nocciole che masticate in fretta e con rabbia gli rimasero sullo stomaco. Disse poi che se le sentiva come tante pietruzze disseminate lungo l’esofago. Quando finalmente uscirono da quella casa disgraziata e si inerpicarono per rimettersi in cresta, erano appena le nove e la notte era paurosa come un attimo prima dell’alba. Salirono dicendone di tutti i colori a Meo per quella trovata della cena. Il più a posto era ancora Jack, borbottava senza tregua e con voce morbida e quasi allegramente: “Porci fascisti, porci fascisti…”
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Beppe Fenoglio | Una questione privata