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Mi riferivo ai corpi, forse sono come valigie, ci trasportiamo noi stessi.

Antonio Tabucchi | Notturno indiano

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Non ricordo dove l’ho letto, ma a quanto pare c’è una maledizione che colpisce alcune personalità meridionali: quella del nome che ha smarrito il cognome.
Eduardo e Totò sono due esempi tra i più noti. Anche a Guglielmo Minervini è successo qualcosa di simile: da un certo punto in poi per molti è stato solo Guglielmo.

Se ne scrivo su questo blog non è solo perché vorrei che restasse traccia della scomparsa di quest’uomo tra le mie carte virtuali, e neppure perché Minervini è stato editore, prima ancora di fare politica.

A dirla tutta non voglio nemmeno spiegare chi è stato Guglielmo Minervini: spero anzi che chi non lo conosce si faccia un giro per il web e scopra chi era, cos’ha fatto, in cosa ha creduto.

Io l’ho sempre chiamato con nome e cognome perché l’ho incontrato poche volte. Una volta sono stato con lui tra i relatori di una conferenza, ma questo non basta a spiegare quanto io abbia vissuto in ciò che lui ha irradiato. In termini di visioni, di politica vera.

Non credo basti dire neppure del suo assessorato alle Politiche Giovanili pugliesi, di Bollenti Spiriti e tutto il resto. Non credo sia sufficiente far notare che lui sì, è riuscito a creare un ponte e un incrocio vero tra cittadini e istituzioni; e che se in generale sono meno scoraggiato di altri miei coetanei che abitano altrove, è chiaro che lo devo a lui e a tutte le persone che lo hanno circondato in questi anni (uno fra tutti Roberto Covolo, che vorrei avere la forza, in queste ore, di andare ad abbracciare).

Da qualche parte ho scritto che Guglielmo Minervini era un uomo infinito in un corpo minuto. Ecco, questa mi sembra una cosa importante: a differenza di altri leader politici, dubito che a proposito di Minervini si possa imbastire la solita prosopopea del corpo del leader, del suo tono di voce, del suo modo di gesticolare. Minervini davvero faceva andare avanti le sue idee. Discreto, sapeva scomparire dietro quelle. Arrivavano prima loro, poi la sua personalità. Solo al secondo mandato di Vendola ho scoperto quanto lo stesso Vendola dovesse a Minervini.

Le sue intuizioni: invitare i pugliesi a sottrarsi alla solita retorica nostra di piagnoni sudisti; mettere insieme la migliore tradizione politica cattolica con quella più underground e persino punk (ciò che un tempo si chiamava controcultura); guardare a chi di solito neppure ci prova, a fare politica, perché scoraggiato o senza mezzi opportuni – e magari la politica finisce col farla comunque, senza nemmeno saperlo.
Dare, soprattutto, a tutti noi degli strumenti per provare a cambiare, a metterci in gioco, a vivere fuori dalla nostalgia per chi faceva o non faceva quando non camminavano ancora.

Ovviamente si potrebbe dire di quanto quel minuscolo corpo, che mi faceva pensare al Benigni di Jarmusch, lo abbia tradito: anche politicamente. Non fosse stato per la malattia, Minervini avrebbe potuto…
Ma non è importante, non ora. Noi tutti siamo quello che riusciamo a fare mentre il nostro corpo va a deperire. C’è chi ha più tempo, chi meno. In 55 anni Guglielmo Minervini ha fatto tutto quello che poteva fare.
Sapevamo, periodicamente, dell’aggravarsi delle sue condizioni e di ogni volta che al contrario sembrava fuori pericolo. Eppure si obbediva sempre allo stesso ordine taciuto e condiviso: e cioè non farne chiacchiere mediatiche o una bandiera, e continuare a lavorare.

Per questa e altre ragioni ritengo un privilegio averlo incontrato. Mi ha cambiato la vita. Per questo non mi va di stare a sottolineare che sì, tanta gente ha messo i bastoni tra le ruote a quest’uomo e che tanta altra non lo ha capito, non lo ha voluto capire, dimenticando che Minervini ha amministrato, al contrario etichettandolo di volta in volta come un sognatore o un idealista, che è il modo migliore, in questi tempi cinici e ottusi, per delegittimare un avversario politico – soprattutto quando è nel tuo stesso partito.
Minervini è stato più forte di tutto questo. Lo è la sua eredità, molto concreta. Troveremo questa e non quella dei suoi detrattori nei libri di storia, come si suol dire.

Vedete, ora che ci penso Guglielmo Minervini non ci ha lasciato neppure slogan da ripetere meccanicamente su Facebook. Certo, ci sono quei sette punti con cui fissò l’apertura delle sue politiche giovanili, circa dieci anni fa, e se qualcuno avrà curiosità di rileggerli scoprirà quanta visione futura (cioè profondamente contemporanea) ci fosse in quel giovane assessore, già sindaco di una città, Molfetta, che aveva risollevato dopo anni di abbrutimento e violenza mafiosa.

Voglio dire che Guglielmo Minervini è riuscito a sopravvivere a quella maledizione del nome senza più cognome, a restare umano, profondo, tridimensionale nonostante la prossimità o l’illusione di prossimità di cui spesso si nutrono i meridionali nella loro fame di idoli. Perché Minervini non era un idolo, né falso né vero, e questo credo d’averlo spiegato abbastanza.

Certo, adesso c’è del dolore. Perché la sua morte arriva in un momento particolare, col naturale ricambio tra chi ha vissuto una stagione eccezionale – pur con tutte le sue contraddizioni – e chi è arrivato subito dopo. Perché appunto in questa perdita non ci sono canzoni o eredità squisitamente morali o immateriali che – al di là dell’affetto – possano dare immediato spessore di immortalità a chi ci ha appena lasciato.
Ci sono dei libri, dei dispositivi politici, delle opere insomma concrete che necessitano del supporto di un corpo vivo per essere diffuse.
E questo sì, è insopportabilmente doloroso.

La verità, ovviamente, è che questo tentativo di razionalizzare la morte di Guglielmo Minervini è traballante in più punti. Ma va bene così.
Potessi tornare indietro a quella volta che siamo stati dallo stesso lato del tavolo, mi piacerebbe potergli dire quanto scritto finora e tutto quello di cui non ho avuto il coraggio, incluse, nello specifico, certe mie critiche a quella campagna elettorale, e certe altre. So che le avrebbe ascoltate, e che mi avrebbe sfidato, rilanciando a sua volta. Non so altro.