campamina

Fosse per me, per me soltanto, intendo: siamo in guerra, certo, questo direi, in questa guerra diffusa e molecolare, che avviene un po’ qui un po’ là senza senso apparente ma tra molte apparenze e tentativi di rappresentazione che ne amplificano il senso mancante.
Ma questo è il parere di papa Francesco I, mi pare, e non il mio, non propriamente, almeno.
Io, fosse per me, per me soltanto – anche se a scrivere così, scrivere così come se stessi parlando, mi sento un po’ Paolo (Paolo nel senso di Nori, non il Paolo Papa Giovanni visto che s’è detto di papi, fin qui) – insomma se fosse per me soltanto direi che sì, è guerra, guerra perché da quando è iniziata (quando è iniziata?) soffro un po’ meno.
Nel senso che soffro per cose mie, un po’ meno. Perché il pericolo è fuori – fuori, finalmente! – e se là fuori è tutta una carneficina come fai, come fai dico a perdere tempo col dentro, col fatto che non lavori, che non ami, che non scopi, che non proliferi, e non non e non?
Finalmente è non più il tempo della profondità, della psicologia, della depressione.

Questo è un fatto caratteristico di ogni guerra. In guerra diminuiscono i suicidi, o almeno così raccontano quelli che in altri tempi di guerra non si sono ammazzati (né si sono fatti ammazzare).
In guerra non puoi mica metterti a pensare che non hai soldi per andare fuori a cena. Per andare a mare al mare. Che non hai le feriepagate, che non hai un contratto o quello che hai è una beffa. Che non puoi curarti – pensa alla salute!
In guerra non ci si perde in chiacchiere da classe media perché la classe media, in fondo, non è che un esperimento finito male, che guarda caso si fa proprio nei dopoguerra.

Io questo, insomma, penso, sulla base di me, dei miei problemi e delle mie paranoie passate.

Però forse è vero pure che la guerra è prima di tutto proprio questo, paranoia. Di chi la fa, questo è certo, ma pure di chi deve subirla. Forse la guerra inizia prima nella testa delle persone, forse è lì che va infilata prima di farla poi per davvero e allora, se ci penso bene, penso che quando in passato invidiavo chi la guerra l’aveva avuta in dono come il DNA (perché loro sì, potevano struggersi per morte e distruzione concrete e non per nostalgie e depressioni invisibili), ecco, io adesso penso che mi sbagliavo, che non c’è niente da invidiare e che guerra o non guerra, depressioni o non depressioni, stare male stare bene stare male, siamo tutti dei coglioni – e più dici guerra, più si fa guerra, e più vendono i giornali, le nostre cornacchie, i nostri muezzin d’Occidente.


Mirco Della Morna | Dio t’ama, io no