“Una cosa che proprio non capisco – cioè, che non capirò mai, proprio – è: com’è possibile essere muse di sé stessi?”
“Be’, com’è possibile. Se lo fanno è possibile. Ma non sono loro.”
“In che senso non sono loro?”
“Smettono di esserlo, quando…”
“Cioè: come fai ad associare al tuo corpo, a una foto del tuo corpo, anche solo una clavicola una coscia il mento una spalla – una poesia, chessò, di Rimbaud, di Rilke, di…”
“Ah, ok. Intendi proprio quello. Quel tipo di essere muse di sé stessi.”
“Esattamente.”
“Ripeto: non sono loro. Smettono di esserlo, quando lo fanno.”
“Non si può smettere di essere sé stessi.”
“Non pubblicamente. Cioè: pubblicamente puoi. Internamente, pure. Molto fuori o molto dentro tu non sei mai te.”
“Oh, non credo proprio.”
“Pensaci: tu sei te, quando parli fuori dal tuo cervello, o troppo dentro?”
“Io…”
“Io non è me. Io non è ancora me. Pensaci: forse non lo sarà mai. E se mai lo sarà, il gioco sarà finito. E Io non sarò più neppure io. Che noia. Pensaci.”
–
Keele Katorn | Gesù, che peccato (Trad. M. Greco)
Rimbaud diceva “je est un autre”. Non so, mi è venuto in mente…
Citato non a caso! (Credo) 🙂
😊 ma anche sì…