[Siamo quasi a Natale ed io non so cosa postare. Però. Non scrivo quasi più di musica anche perché i risultati sono spesso tra l’immorale e l’imbarazzante; tuttavia, quello che segue è un articolo che dovevo scrivere, dato che il mensile Coolclub aveva deciso di dedicare un numero intero alla rinascita della musica indierockpop italiana; potevo forse esimermi dal parlare dei Nobraino, i quali sono l’unico gruppo serio in giro in Italia, o quantomeno l’unico gruppo che non si perde dietro a cappellate indie/autocompiaciute/malinconicodepressive? Poteva forse non gettarsi nella mischia il vostro fido intervistatore da strapazzo? No. Certo l’articolo non è stato mai pubblicato. Ci sentiamo a fine articolo per alcune delucidazioni.]
«Se il narcisismo fosse un handicap, qui tutti avrebbero il parcheggio assicurato anche in città.»
Nobraino, Narcisisti misti
Prendete le teorie di Lester Bangs su Iggy Pop: tra le altre, lo sfondamento della quarta parete – lo schermo tra pubblico e band sul palco, diciamo – e applicatele a qualcosa di poco meno violento, a tratti tenero, sicuramente più consapevole. Avrete così una vaga idea di uno show dei Nobraino, band romagnola con misteriosi trascorsi cestistici.
Ricorderete cosa diceva Bangs di Iggy: quel planare sul pubblico, ferirsi, fare a botte, aveva qualcosa di umano e assolutamente infantile. Lorenzo Kruger, cantante dei Nobraino, appare invece ben conscio di quel che fa quando si arrampica sulle impalcature dello stage o sui balconi della piazza in cui sta suonando la band; con tutta probabilità lo è anche quando smonta le lampade del locale di cui è ospite o se ne va in giro per la sala a pogare tra il pubblico col suo microfono wireless. Una volta, prima di un concerto, Kruger mi ha spiegato che durante lo spettacolo della sera prima aveva utilizzato la tecnica del ragno: e infatti se n’era andato in giro per la piazza di Cisternino di volta in volta arrampicandosi su un balcone diverso. Il modo migliore per coinvolgere tutto il pubblico: accerchiarlo. La prima volta invece che ho parlato con Kruger dopo un’esibizione era disteso a pancia all’aria ai piedi di un ulivo accanto al palco. Spesso a fine concerto il buon Lorenzo Kruger muore, con una pistolettata alla testa o semplicemente svenendo. Mi pare una bella metafora della condizione dell’artista sul palco.
Adesso potrei limitarmi a prendere le risposte di Kruger a un’intervista che abbiamo fatto tempo fa e smontare alcune delle sue tesi. È che ti viene naturale pensare a un incontro di boxe quando hai a che fare con lui, e non solo per la fisicità di un concerto dei Nobraino. Però prima voglio dire una cosa: quando li ho scoperti, in Puglia non se li filava nessuno. Così quando li ho visti in tv a Parla con me m’è preso un colpo. I Nobraino sono una band in cui (e a cui) devi credere. No, non solo per via del loro ultimo disco, No Usa! No Uk! Nobraino!, in cui c’è anche Giorgio Canali, e non solo perché è disponibile solo su iTunes e ai concerti (il che la dice lunga sull’importanza del live). Piuttosto perché, a guardarli, consideri chiusa l’epoca dei concerti col pubblico necrofilo, in cui il movimento più rivoluzionario tra il pubblico è battere il piede per terra più o meno a ritmo. Siamo chiari: come consumatori siamo abbastanza addormentati per cui non è che accada chissà cosa, quando Kruger scende tra il pubblico. Però puoi toccarlo, spingerlo, ti interessi alle sue sorti. È un altro tipo di spettacolo rispetto al solito: specie quando la band sta suonando Italiano di Toto Cutugno in versione stoner. E il pubblico canta con la mano sul cuore. Perché, perdonate se non l’ho chiarito finora, i Nobraino non sono un gruppo punk o hardcore. Il buon Lorenzo assomiglia a un Buscaglione un po’ più coraggioso. Gli altri componenti del gruppo vestono da marinai e tra i fiati spesso spuntano delle conchiglie. Le loro canzoni parlano d’amore. Sono canzoni italianissime per tradizione ed approccio. Tra le cover ci sono Via con me e La ballata dell’amore cieco. Insomma, niente che inneggi alla rivoluzione: io stesso vado ai loro concerti per distendere i nervi: studiare le evoluzioni di Kruger sulla balaustra di un palazzo settecentesco mi tiene al riparo dal tentare di fare altrettanto col balcone di casa mia. Da un punto di vista musicale e visivo siamo di fronte a uno show nazionalpopolare. Che sta tra la gestualità di Totò, Charlot e Fatur dei CCCP, diciamo. E qui posso iniziare a (non) smontare le tesi della ormai famosissima intervista.
«[Il nostro] È un approccio al pubblico che travalica il mezzo di comunicazione usato e si insinua praticamente nei gradi di parentela. Il personaggio nazionalpopolare, che sia il papa, un comico o un mafioso diventa con tutti i suoi pregi e difetti adottivo presso il suo pubblico, e così il pubblico smette di giudicarlo per farne metro di misura della propria vita. Io vorrei essere adottato dal mio pubblico», risponde Lorenzo a una delle mie prime domande. Fin qui tutto bene, sono d’accordo. Poi gli chiedo cosa rappresenta il personaggio del Kruger, e lui: «Lorenzo Kruger non è un personaggio, sul palco è la prosecuzione notturna di se stesso. I miei giochi preferiti sono semplici e d’effetto.» Non sono d’accordo. Prosecuzione notturna o meno, Kruger è troppo consapevole per non essere un personaggio. Lo dimostra il fatto che se ci parli non ti si arrampica in faccia. È disposto a spiegare. Gli chiedo il motivo dell’attrazione di Kruger per gli oggetti luminosi: «La luce rientra in questa categoria [giochi semplici e d’effetto] insieme alla farsa dell’autodistruzione, moderna evoluzione delle comiche. Un tizio che rischia l’osso del collo su una buccia di banana continua ad essere il massimo dello spasso.» E questo mi dà ragione sul rapporto tra uomo e maschera: a meno che Lorenzo non rischi l’osso del collo continuamente, anche nella sua vita privata. La farsa dell’autodistruzione, di questi tempi – ma non solo – mi sembra un gran colpo di teatro, è geniale metterla sotto gli occhi del pubblico in quel modo. C’è un’altra cosa. Quando ci ho chiacchierato la prima volta, è stato proprio Kruger a mettere in mezzo il nazionalpopolare: rivelandomi che non ci vede nulla di male se, un giorno, i Nobraino finiranno a suonare in una piazza piena di gente come può accadere in una festa patronale o in una balera col liscio, che è il loro genere tradizionale (suonano anche Romagna mia). L’esatto opposto delle fissazioni indie degli ultimi anni. Tant’è che, nonostante mi abbia rimproverato per aver ripetuto troppe volte la parolaccia in questione in quell’intervista (nazionalpopolare nazionalpopolare nazionalpopolare nazionalpopolare nazionalpopolare), Lorenzo ha spiegato bene cosa intende: «Mi fai ripetere. I Nobraino potrebbero diventare una band nazionalpopolare. Ogni band dovrebbe volerlo. Perché non desiderare di rappresentare la “musica italiana”? O dobbiamo lasciare questo compito a Ramazzotti, Gigi D’Alessio e compagnia bella?» E anche qui sono d’accordo. Tesi smontate o meno, è smontata l’attitudine indie. Di questo sono grato ai Nobraino, per la miseria. Per adesso continuano ad essere associati ad altre band contemporanee. Ma credo che abbiano raccontato, fin qui, altri anni zero. Provare per credere. Il secondo round di quest’incontro di boxe si chiude qui, sarebbe interessante organizzarne un terzo alle Manifatture Knos qui a Lecce, cari amici di Coolclub. Immaginate cosa potrebbero combinare i Nobraino, con tutto quello spazio e quegli strani aggeggi meccanici a disposizione.
[Come detto, l’articolo non è mai stato pubblicato. Inoltre, è scritto molto male, come si conviene per certe occasioni (mi viene in mente Ennio Flaiano bonànima, per il quale bisognava scrivere male, per farsi capire). Però credo che quella degli show nazionalpopolari sia una questione molto seria e per questo ho deciso di riproporre qui questo inedito, diciamo. Per inciso, gli amici di Coolclub sono gli stessi che curano la collana in cui è uscito il mio primo libro. Comunque, solo dopo l’uscita del già citato numero della rivista ho appreso che i Nobraino torneranno in Puglia e saranno nei pressi di Lecce il 22 dicembre, a Trepuzzi. Non proprio al Knos – un ex fabbrica, da quel che so, riconvertita da qualche anno in un posto, come dire, molto berlinese – ma va bene lo stesso. Bis Bald, Herr Kruger!]