«Tutto quello che ho è questo pollo di gomma con una carrucola in mezzo.»
Guybrush Threepwood
Signori, voi avete a che fare con un onesto intervistatore che si prodiga per il buon nome di tutta la categoria. Ecco perché non ho ritoccato a posteriori le domande di questa chiacchierata con Nicola Lagioia, scrittore barese (classe 1973). Dato che ci ho fatto la figura del Guybrush Threepwood di turno (i fan di Monkey Island sapranno di cosa sto parlando), avrei potuto tagliare e riscrivere qua e là per dare l’impressione di avere la benché minima idea di quel che Nicola ha espresso in un paio di punti. In molti lo avrebbero fatto, al posto mio. Comunque. L’idea era quella di fare un po’ il punto della situazione sulla regione in cui vivo, la Puglia, da qualche anno il posto più cool del sud Italia per un sacco di motivi. Il fatto è che fino a dieci anni fa qui era buio. Me lo ricordo. Il cambiamento, o la New Wave di cui parlo nell’intervista mutuando un pessimo termine da certa pessima critica musicale, è roba di pochi anni. E giuro che Nicola Lagioia, quando il sottoscritto era ancora all’università, faceva già grandi cose. Gli ho chiesto di questo cambiamento in atto il cui risultato, per adesso – devo essero sincero – non riesco ancora a capire. Puglia Migliore o, ancora, Puglia Minore? Un giorno lo spiegherò meglio. Nel frattempo, però, Nicola è diventato il responsabile di una cosa che genera dipendenza: la collana Nichel di minimum fax. Prego.
Facciamo un gioco. Io sparo delle parole che per me hanno a che fare col cambiamento pugliese, e poi tu dici le tue. Vado: Operazione Primavera – Franco Cassano – Melpignano – Italian SudEst – Punta Perotti – Emiliano – Vendola.
Il Rinascimento non fu causato da un meteorite caduto a Fiesole tra XV e XVI secolo.
Nel libro Riportando tutto a casa racconti la Bari degli anni ’80. Una città in cui si poteva “fare esperienza”, come in ogni grande città d’Italia. In cui quartieri e attori sociali erano però ben distinti tra loro. Adesso Bari, come un po’ tutta la Puglia, è cambiata, rimessa a nuovo, ha subito una vera e propria mutazione che ha mischiato le carte. Gli avvenimenti baresi, inoltre, hanno ora respiro nazionale. Non m’interessa tanto la classica operazione-nostalgia, quanto capire dov’eri tu, perché so che c’eri, negli anni del cambiamento, e cos’hai visto.
Io – tra i miei quindici e i miei diciassette anni – ero a pogare al vecchio Pellicano (quello di via Pasubio, per intenderci) durante un concerto di death-core. Ero a una festa a Japigia in un appartamento con pochissimi tossici. Ero in libreria a leggere Penthotal di Andrea Pazienza perché non me lo aveva consigliato nessuno. Ero da New Records ad ascoltare Etica Epica Etnica Pathos dei Cccp. Ero a dare il mio primo bacio nello spazio assolutamente deserto alle tre e mezza del pomeriggio tra il liceo scientifico Enrico Fermi e il tecnico industriale Modesto Panetti. Ero da solo, chiuso nella mia cameretta, a farmi affascinare dalla Waste Land di Eliot.
È sempre una forzatura identificare un fatto storico come l’avvio di un determinato periodo di cambiamento. Ma è possibile, secondo te, individuare un avvenimento che ha dato il via alla New wave? Io dico l’Operazione Primavera di inizio millennio. (Se non altro, ha “permesso” alla stessa Sacra Corona Unita di reinventarsi come accaduto per altre mafie.)
Per me è stata l’uscita de Lacapagira dei fratelli Piva. Questi due tizi, praticamente da soli, senza una lira ma con molte idee, e dunque rischiando tutto in prima persona (soldi, tempo, vita) se ne uscirono con un film ambientato a Bari che – prima ancora che a Bari – fu acclamato al festival di Berlino.
Quando sono partito per l’università, nel 2001, questa regione era un posto da cui era normale andar via. Adesso non so, a volte ho la sensazione che questa terra sia un posto “cool” (pessimo termine, ma…), in cui si può vivere tranquillamente, altre invece che sia come qualsiasi altro posto del sud da cui non si può che fuggire.
A me sembra un bel posto. Se in futuro sarà un posto cool, un posto di merda o un posto bellissimo, dipenderà – molto banalmente – da tutti quelli che ci vivono e ci lavorano. Nessuno dovrebbe sentirsi escluso. E comunque, se questa terra ha avuto due nemici che per fortuna negli ultimi tempi si sono visti poco, questi sono stati il vittimismo (che spesso è una scusa per non mettersi in gioco) e il complesso di inferiorità (di cui il folklore è il classico verso della medaglia).
La domanda di prima potrebbe essere riformularla così: quanto il cambiamento è stato “mediatico” e quanto effettivo? Io penso che le specificità che si sono semplicemente mischiate nelle grandi città – la malavita che passa dalla tuta acetata al colletto bianco, per dire – siano ancora rintracciabili nei paesi di provincia. Dove, non a caso, si spara e si ammazza come quindici anni fa.
Si spara e si ammazza moltissimo anche a Los Angeles. Però quella città è stata per anni anche un meraviglioso e impressionante (nel bene e nel male) centro di creatività. Anche se il cambiamento fosse tutto mediatico (effettivamente, la percezione che si ha della Puglia fuori dei confini regionali è ottima) questo credito mediatico sarebbe da sfruttare al massimo da chi ci vive per diventare, da vantaggio virtuale, un vantaggio effettivo. Ecco perché l’occasione che sta passando davanti alla Puglia di questi anni è un’occasione rara, preziosa che si ripresenterà tra molti decenni se non si ha la voglia, il coraggio, il talento di sfruttarla bene.
Poi c’è il discorso dell’identità, e della comunità. Per quanto a Bari o nel Salento si possano esser mischiate le categorie, i ruoli, le ambizioni, direi che in questi anni è stato soprattutto il senso di comunità e di appartenenza a venir fuori. Anche questo, reale o presunto.
Il senso di appartenenza e l’ipertrofia dell’identità sono cose che appartengono a tutto il Paese sin dai tempi dell’Italia comunale.
Ultima domanda. Cosa racconteremo di questo inizio millennio pugliese, tra vent’anni, quando, presumibilmente, i riflettori si saranno oramai spenti? Quali sono le storie nascoste, in un posto così “illuminato”, di cui non può fare a meno di andare a caccia uno scrittore?
Pure con tutta la buona volontà, i milanesi del Seicento non avrebbero potuto immaginare che la loro città e loro stessi sarebbero stati protagonisti di un romanzo scritto due secoli dopo da Alessandro Manzoni. Non perché nel Seicento non ci fossero i don Abbondio e i don Rodrigo e le suor Gertrude. Il problema è che nel Seicento non esistevano i codici narrativi ed estetici noti a don Lisander per privilegio d’anagrafe.
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Il titolo di quest’intervista è una chiara citazione di Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi), il primo libro di Nicola Lagioia. Che ho recensito qui. Ciao.