E certo ogni tanto ci si vede ancora, col vecchio Jack Faccia-da-cane. La questione, quando due vecchi amici si incontrano in età adulta, è che ci si vede con meno frequenza e il rischio è che si parli sempre e solo dei fattori che ti costringono alla saltuarietà di quegli incontri. E le malattie, gli acciacchi, le mogli, che non sono come le fidanzate, si prendono tutto il tempo di una discussione o non se ne prendono affatto e allora hai la sensazione di non averci parlato davvero col tuo amico. Su una cosa, comunque, siamo sempre stati d’accordo col vecchio Jack: e cioè che una certa insopportazione per la gioventù accomuna due fasi dell’esistenza piuttosto strampalate e lontane tra loro: l’adolescenza e l’età adulta.
Insomma, ci si vede poco ma quando capita non si può non tirar tardi e l’ultima volta è finita che siamo andati al mare a guardare l’alba. Ci siamo sistemati su una duna, da cui si ha davvero l’impressione di dominare il paesaggio sottostante. Il fatto è che da lassù la spiaggia scompare del tutto, se è luna piena come l’ultima volta hai il mare dipinto di fronte e i frammenti liquidi del pallino bianco che ondeggiano sull’acqua nera. Noi andiamo al mare ma è come se avessimo il fiume, di sotto, quel tipo di fiume sulla cui riva ti siedi in attesa che passino i cadaveri dei tuoi nemici, com’era quella vecchia storia? E insomma, ci siamo sistemati lì, un po’ infreddoliti, quello sposato era lui, Jack, ma era sottinteso che potevo essere io, la questione del matrimonio l’avremmo affrontata in modo oggettivo, non era che Jack si era sposato ma che uno di noi due si era sposato. Abbiamo impiegato una buona oretta a parlare di questo. Devo esser sincero, Jack mi è sembrato innamorato, per quanto tenesse a farmi sapere che stare a casa entro un certo orario o l’aver smesso due o tre passioni non era il massimo. Forse proprio l’ostentazione dei limiti del matrimonio m’ha fatto pensare a quanto tenesse a sua moglie, il vecchio Jack. E anche le birre che ci eravamo portati dietro, avevano avuto più o meno la stessa funzione.
«C’è un certo tipo di libertà in questi incontri tra me e te» ho provato a spiegare verso le cinque di notte, «che dà più valore a questa cosa che tu hai fatto con lei. O forse è il contrario, è il matrimonio che ne dà a questi incontri, non lo so bene.»
«E questa birra che non ci ubriaca più.»
«Cosa?»
«Forse dovremmo solo cambiare marca di birra.»
Abbiamo visto qualche barchetta all’orizzonte farsi più vicina. Il mare notturno è delle barche, altro che cadaveri. Ma, archiviata la questione del matrimonio, abbiamo provato comunque a fare la conta dei morti, veri o presunti. Be’, qualcuno era morto davvero, ma di quelli non si parla mai sul serio, perché la questione porta sempre con sé un certo grosso tasso di identificazione potenziale. Allora c’era il compagno di banco finito in qualche guerra, quell’altro sposato con tre figli o quell’altro ancora sposato con tre figli e divorziato; e quello finito in banca con una raccomandazione e quello uscito pazzo per certi riti orientali; la tizia di cui eravamo stati innamorati, a turno, senza che l’altro lo sapesse, e con cui nessuno dei due aveva combinato nulla, e che comunque adesso era sposata con tre figli anche lei.
Poi capita sempre che uno dei due tiri fuori il telefono e faccia sentire le suonerie di questo nuovo aggeggio; soprattutto, a chi o cosa ha associato una tal suoneria. Mi ha stupito, l’ultima volta, non tanto l’associazione sirena dell’ambulanza-mamma di Jack, quanto la Cavalcata delle Valchirie con la moglie di Jack. La cosa poneva una certa urgenza nel rapporto tra il mio vecchio amico e la sua consorte. Per la verità devo aver fatto un pensiero ulteriore, circa l’urgenza nei rapporti umani, quella tra me e Jack in adolescenza e fino a un certo punto in gioventù, e quella che viene dopo con le donne, quando pensi che ogni donna sia l’ultima donna e che non avrai altre possibilità: è evidente. Ma comunque non ho detto nulla, siamo scesi giù a prenderci il primo sole insieme ai pescatori.
Uno dei vecchi aveva un occhio di vetro. Non avevano preso granché. Sul fondo della barchetta c’erano quattro o cinque pesci che i vecchi chiamavano orate, insieme a una miriade di piccoli granchi e qualche polpo che si trascinava e si arricciava in un angolo. Niente da fare, quando non sai che pesci prendere, o quali hai già preso, si tratta sempre di orate; o di granchi. Grossi granchi. Ma questi erano minuscoli e i pescatori poco loquaci. Con discreta sorpresa mia e di Jack, un certo e inaspettato calore notturno stava lasciando il posto al freddo del mattino. Siamo andati a fare colazione in un bar dall’altra parte della strada, oltre la duna che ci aveva ospitati per tutta la notte.
Davanti al caffè a Jack è venuto in mente un tizio che avevamo conosciuto ai tempi dell’università.
«Fa il ricercatore a Fisica, o qualcosa del genere» ha detto Jack girando a vuoto il cucchiaino nella tazza.
«Dev’essersene andato un po’ di testa. L’ultima volta che ci ho parlato aveva tipo uno sguardo fisso, non sbatteva le palpebre. Neppure per un istante. Mi ha chiesto un mucchio di cose, non cose del tipo… Non lavoro o, che ne so, hai visto questo o quell’altro. No, mi ha chiesto se mi capitava mai d’annoiarmi.»
«E tu cosa gli hai detto?»
«Gli ho detto di sì, che sono molto annoiato, come sempre.»
«Be’, mi pare normale.»
«Anche a me ma… Lui ha detto di fare attenzione. Che quella che provo non è noia, ma angoscia, e che la noia è uno stato d’animo che sta scomparendo, che l’uomo del futuro sarà in grado di provare solo angoscia, e che per evitarla sarà disposto a fare un mucchio di cose strane… Poi mi ha salutato e se n’è andato.»
Abbiamo riso della cosa, finisce sempre così, in due, questioni che potrebbero colpirti e incuriosirti come singolo individuo, in due finiscono per diventare una barzelletta. Se penso alla scenetta successiva, quella in cui si insiste, a turno, per pagare la colazione, che è quel che resta dei vecchi litigi e delle botte che ci si è dati da ragazzini, per strada… Comunque, ho pagato io, ci siamo messi in macchina per tornare in paese e per evitare che il sonno mi impedisse la guida ho tirato fuori un argomento qualsiasi.
«Hai visto che sta succedendo in Grecia? Con quei tipi vestiti di nero che fanno le ronde per strada, danno da mangiare ai poveri, adesso entrano in parlamento…»
«A quanto pare la Grecia è più avanti di noi, in questo caso.»
«Dici che succederà anche qui?»
«Non so, per la verità non lo so. Non ti fa paura tutto questo?»
«A volte mi sembrano solo vecchie perversioni. Uno pensa che sia una novità, che possa prender piede ovunque nel mondo, che abbia anche un suo senso, una sua logica… Ma è come quelli che gli piace quando le donne pisciano. Hai presente? C’è gente che si eccita a farsi pisciare addosso da una donna. Per me va bene tutto, non mi scandalizzo, però mi sembra una forzatura. Così li vedo, i fascisti.»
«Non ti ho capito. Sarà il sonno.»
Così Jack Faccia-da-cane si è addormentato mentre guidavo. Dopo quell’incontro non ci siamo visti per un bel po’. Evocare certi argomenti, ho pensato, o certe paure più grandi di noi, è sempre come abbracciare un vecchio amico. Si è sempre d’accordo. Quella mattina mi ha tenuto sveglio il naso del vecchio Jack, che fischiava e ronzava come il frigo di casa di mia nonna, poi sull’asfalto ci ha pensato un’invasione di pecore e arieti, senza neppure l’ombra di mezzo pastore, a rallentare il nostro ritorno verso casa.