I motivi per i quali fu invitato al ricevimento furono subito poco chiari allo stesso ingegner Morimoto. Tutta l’esistenza dell’ingegnere, del resto, sembrava costellata di inviti che oscillavano tra il poco esplicito e l’immeritato. Forse anche per questo l’ingegner Morimoto arrivò in netto anticipo sull’orario della cena; prese a conversare con gli uomini della sicurezza e i camerieri, sempre con quel senso di immeritata fortuna addosso, tanto che a un certo punto ebbe voglia di dare una mano in cucina; ma anche l’ipotesi di mettersi a cucinare per gli altri ospiti, di colpo, lo fece sentire inadeguato. Fu in quel momento che intravide per la prima volta, nella hall del ristorante, la donna vestita di nero.
Più tardi l’ingegner Morimoto era inaspettatamente e, dal canto suo, immeritatamente seduto al tavolo con gli uomini più importanti del tempo. Riconobbe, tra gli altri, due primi ministri d’Anodinia, un mercante d’armi per sordomuti, due monaci eretici conduttori televisivi, un telegrafo, un cane da caccia regale, tre emeriti, otto viceministri, un notaio, un rappresentante di una delle centosessantanove razze aliene non ostili riconosciute dal governo della terra, due generali dell’esercito, un assicuratore, un vampiro e due moralisti. Si discuteva di politiche semiautomatiche, cinema indipendente, diavoli, rapporto tra televisione e autoerotismo, mentre in sottofondo un’orchestrina suonava un jazz imperiale d’ispirazione austroungarica. Più in là, seduta in disparte a un tavolino isolato, stava la donna vestita di nero. Un cappellino con velo, anche questo nero, le copriva il volto; solo le ginocchia e le caviglie, sottilissime, erano scoperte.
La serata, quasi primaverile, si svolgeva tranquilla. L’ingegner Morimoto mangiava di gusto, ma con discrezione, e parlava poco, molto poco. Ascoltava i discorsi degli altri invitati e sorrideva, e mentre sorrideva pensava di non meritare l’ascolto dell’acume dispensato dai commensali. Di tanto in tanto gettava uno sguardo furtivo alla donna in disparte, la quale si limitava a sventolare un ventaglio viola dietro cui pareva volersi nascondere ulteriormente.
A un certo punto uno dei due primi ministri d’Anodinia fece una battuta che poteva assumere un doppio senso: nel dubbio, l’ingegner Morimoto sorrise neutro. D’istinto si voltò verso la donna in nero, la quale, con evidente soddisfazione dei denti, sembrò quasi rimproverarlo di essersi limitato a sorridere piuttosto che mostrare un sentimento ben più esplicito. L’ingegner Morimoto, cambiato lo sguardo, si trovò faccia a faccia col vampiro seduto proprio di fronte a lui: gli stava facendo l’occhiolino. Ascoltando un ordine interiore prima d’allora sconosciuto, l’ingegner Morimoto si asciugò il bordo delle labbra con un tovagliolo, chiese permesso, si alzò piano e s’incamminò verso la donna.
Dopo averla schiaffeggiata – un solo ceffone, preciso, sulla guancia destra – l’ingegnere tornò a tavola, si scusò e sedette lentamente. L’orchestrina riprese a suonare tra gli applausi degli astanti, eccitati dalla bravura del cuoco o forse, non è da escludere, dal gesto di Morimoto.