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The A player è un breve film psichedelico (13’) su A., ideatore, organizzatore, giocatore (e molto altro) del Fiffa inda Street, torneo di calcio tre contro tre su asfalto. È soprattutto un breve film su un amico. Però A. è anche un punto di riferimento per un’intera comunità, appunto quella del Fiffa, che ha assunto ormai i contorni di una vera e propria microcomunità nella (non)comunità cittadina.
Ho voluto provare a seguire un’intera giornata di A. durante un’edizione del Fiffa inda Street, la numero 17, giocata eccezionalmente su prato e non su asfalto. Nel corso di un’edizione del torneo, come specificato all’inizio del film, A. ricopre molti ruoli. Di seguito invece provo a raccontare in poco spazio cos’è il Fiffa, che è, a mio parere, un’avventura incredibile che va ben al di là del calcio – di quelle che se fossero avvenute a Roma, a Napoli, ma anche a Lecce o a Bari…

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Francavilla Fontana, Brindisi, ottobre 2013

Comincia tutto dal bar, quello con la musica buona. Lo trovi davanti al castello, dove comincia quel che resta della città vecchia. Da aprile a novembre ci sono i tavolini fuori. Il resto dell’anno alle otto di sera ha già chiuso, di solito. Succede che una sera di primavera Daniele, il figlio del titolare, sta lì a parlare con Andrea e Massimiliano, camerieri e fratelli, prima di chiudere. Ad Andrea viene in mente di prendere un pallone e due porte piccole, di quelle da allenamento, e andare dall’altra parte della città a fare due tiri. Si aggiunge qualche amico. Alla fine sono in dieci quella sera, sull’asfalto del parchetto dove di solito si va a fare l’amore o qualche canna. Si improvvisa un triangolare tre contro tre, Daniele comincia a fare qualche foto. Finché non arrivano i carabinieri, forse chiamati da qualche residente della zona. È comunque la prima edizione del Fiffa inda Street.

Nei mesi successivi succede questo. Daniele, Andrea e Massimiliano si ritrovano ancora sull’asfalto vicino al parchetto, ovviamente di lunedì – giorno di chiusura del bar – con altri amici. Sempre più amici. Le porte diventano quattro, i campi due, le squadre otto, poi sedici, e così via. Tutto informale. C’è un annuncio su Facebook, nient’altro. Come un rave. Poco alla volta sempre più gente passa dal bar a chiedere come funziona quello che è a tutti gli effetti un torneo. E quando sarà la prossima edizione – l’unica certezza è il lunedì, quando il bar è chiuso. A quanto pare Andrea ha in testa un torneo sempre più grande, e sempre informale. Cominciano ad avvicinarsi anche i ragazzi delle scuole calcio, qualcuno salta gli allenamenti pur di giocare al Fiffa inda Street. Il mister lo viene a sapere e gli tira le orecchie.

La pagina Facebook del Fiffa inda Street è un raro caso di virtuale che aderisce perfettamente al reale. Riporta lo spirito del Fiffa, che poi è quello di quando si giocava a pallone per strada da ragazzini. Lo sfottò è la linea che unisce qualsiasi accadimento nel Fiffa. Il Fiffa inda Street diventa “la Mecca del calcio”. Un’esagerazione, una battuta, ma anche la verità. Una sorta di ritorno a quello che il calcio dovrebbe essere, solo che se non lo capisci davvero non puoi giocarci. Se non sei davvero stufo della tv, delle marchette, della vanagloria dei campi di provincia, se non ti piacciono le cose per quello che sono davvero, non puoi capire perché è così importante – e divertente – vincere l’edizione di un torneo di calcio tre contro tre su asfalto.

Nei mesi il passaparola, virtuale e reale, è inarrestabile. Si arriva a organizzare un’edizione con più di mille persone tra giocatori e pubblico. Un’altra si chiama “Highlander Edition” coi primi turni a eliminazione diretta perché le squadre sono troppe. Gli abitanti del quartiere sanno che un lunedì al mese gli tocca assistere a questa cosa. Però è anche vero che prima che ci arrivassero i Fiffers, sull’asfalto vicino al parchetto, era solo deserto e degrado.

Nel frattempo, il Fiffa inda Street ha già le sue leggende: quella volta che Carmine ha sbagliato tre rigori in una partita e poi ha vinto il torneo; il primo, forse unico gol di testa; Simone che si inventa il ruolo di difensore; la prima vittoria dei Ballers (il Real Madrid del Fiffa), e così via.

Il bar, quello con la musica buona, diventa il quartier generale del Fiffa inda Street. I ragazzi si incontrano per parlare del torneo, del “calciomercato” di quelle che diventano vere e proprie franchigie (una presa in giro tanto delle società di calcio quanto dei team degli sport americani); ma non solo. Stiamo parlando di una cinquantina di ragazzi, più gli amici e un mucchio di persone anche solo curiose del torneo, che in un modo o nell’altro sanno che se passi dal bar avrai comunque qualcuno con cui parlare. I ragazzi cominciano ad autoprodursi i video che documentano le loro giocate, i sorteggi del torneo, qualcuno comincia a incidere musica. Si tratta di una vera e propria comunità all’interno di una comunità più grande, quella francavillese, che come in altri paesi di provincia fatica a darsi senso – in un periodo in cui l’impoverimento economico può essere da un lato una spinta verso i gesti essenziali, e da un altro, come molto più spesso accade, lo spettro di un ulteriore impoverimento a livello umano e culturale. Il Fiffa inda Street è un racconto che ha i suoi racconti e i suoi narratori, com’è tipico di ogni comunità, e attraverso questo racconto crea spazi e possibilità di incontro tra persone molto lontane. O molto più semplicemente, come dice Andrea, la possibilità di mischiarsi – tra esseri ancora umani.