Allora c’è da dire che sulle prime lei mi evita in tutti i modi. Forse dovrei dire che mi ignora. Forse è ripulsa. Ignora gli sms, le brevi telefonate in cui prendo coraggio e propongo una breve gita al mare. O forse è orrore, non lo so, almeno finché non accetta un invito a cena da lei, dunque un autoinvito. Allora le chiedo, mi faccio esplicito, Perché ignorarmi in quel modo? Non è da me, spiego, Non è da me che si faccia finta che io non esista, ricevere quel tipo di trattamento, anche se so che in fondo lo merito, ma tu come fai a saperlo già? Dice che non lo sa, che io non c’entro, che se mi guarda non crede che io possa indurre ripulsa, è solo che. È solo che? Non fa che lavorare, da un po’, non fa altro, o meglio c’è dell’altro ma è ridicolo, paradossale, da arrossire se lo si dice. Insisto, dimmi, non sono venuto davvero per mangiare. Non mangiamo ancora, lei dice: L’unica altra cosa che faccio oltre il lavoro è soccorrere un collega, si è lasciato da poco con la compagna, stavano insieme da dodici anni, e allora ogni tanto la sera vado da lui, gli cucino qualcosa, poi sto aspettando che gli ricrescano i capelli per fargli un taglio decente, appena si son lasciati lui si è rasato, ma male, dovresti vederlo, sembra un pulcino, è tutto spelacchiato, fa impressione. È ridotto male, dico, o chiedo, non ha importanza, lei toglie le scarpe e mi mostra i suoi piedi, piccoli, piccoli, piccoli, infinitamente piccoli e bugiardi. Poi si mette a cucinare. Chiarisco: Non devi prenderti cura di me, non sono il tuo collega. Lei sorride, mi dà le spalle, Cos’è che cucini? Non ha importanza, l’importante è mangiare, amare, morire. E questa è la cosa più profonda che dice in tutta la serata, così banalmente profonda che hai la tentazione di crederci.
Oh e poi c’è un’altra cosa che faccio oltre al lavoro, dice, e per un attimo si volta, mi guarda, e a quel punto è chiaro che adesso spegne il fornello, smette di cucinare, si avvicina, mi bacia, ed è bene precisare che è lei a farlo e solo in un secondo momento lo faccio anch’io e solo dopo, a letto, lo facciamo insieme, ma a quel punto stiamo facendo l’amore, e mentre facciamo l’amore uno dei due piange e l’altro è insieme intenerito e intimorito e quando abbiamo finito, solo quando abbiamo finito, lei racconta cos’è quest’altra cosa che fa oltre a lavorare, e cioè che di tanto in tanto va in una villetta appena fuori città in cui un altro suo collega si ritrova con due amici per suonare, chitarra-basso-batteria, e chiedo Cos’è che suonano? Fanno rumore e io li ascolto, dice lei, siamo abbracciati, Fanno una cosa che si chiama shoegaze, aggiunge, Conosci lo shoegaze?, e io Sì, ha a che fare col rumore, il guardarsi le scarpe mentre si suona e l’eroina, i tuoi amici fanno uso di eroina?, e lei: No, non credo, e io: Sei sicura, forse la fumano, so che certa gente che si crede rispettabile preferisce fumarla, no?, e lei: No, ma credo che me ne accorgerei, non trovi?, e non mi trovo.
Confesso: Trovo appropriato il sentimento di ripulsa che tu hai provato (lei fa no col musetto, gira gli occhi in su, seccata ma non convinta), lo trovo molto più appropriato di…, insomma quel che mi fa davvero straniero è che ci si possa toccare, indurre o provare tenerezza e familiarità per qualcuno, amarlo, amarlo fisicamente, starci dentro, e soprattutto che possa accadere a me, è questo che mi pareva fuori luogo e mi stranisce, e poi invece sono qui, e non mi trovo, non lo so. Allora lei mi prende la testa con le mani, mi spinge giù tra le lenzuola e sono di muso tra le sue gambe, non troppo divaricate per la verità, e sento che è lì il cuore del discorso, lì dov’è ora la mia lingua, e sento lei da sopra, lei che fa come per accarezzarmi la nuca e invece ha della violenza e allora forse è che preme con le sue mani sulla mia testa verso quel cuore caldo e liquido insieme che è il cuore del discorso, lei da sopra, che sta tra il sonno e l’orgasmo, e dice, promette, sospira, annuncia dal mondo fuori: No che non mi tradisco più con te, no che non succede più, t’assicuro.