Giorgio Fontana vince il premio Campiello con il suo Morte di un uomo felice (Sellerio). C’è molto entusiasmo per questa vittoria, un entusiasmo che da tempo non si sentiva attorno a un premio letterario. Può essere che la percezione di questo grande entusiasmo sia del tutto soggettiva, e che arrivi attraverso il mio personalissimo sguardo sul mondo editoriale, attraverso la mia rete di contatti. Vale comunque la pena esplorare questo punto di vista sul mondo – etico ed editoriale, prima ancora che letterario.
Io stesso chiamo Giorgio per nome, pur non avendolo mai conosciuto di persona e avendoci scambiato solo qualche parola via mail (lo avevo intervistato qui). È perché lo sento vicino, nonostante, aggiungo, credo che il mio approccio ai libri sia completamente diverso dal suo.
Morte di un uomo felice è un romanzo storico, dice qualcuno, ma soprattutto si dice che sia un romanzo impegnato. Giorgio è un giovane scrittore italiano impegnato. E ha vinto un premio importante arrivando davanti a scrittori importanti di un’altra generazione.
Credo che la vittoria di Giorgio abbia generato tanto entusiasmo proprio perché con lui si sentono rappresentati molti giovani lavoratori dell’editoria italiana, che nel corso di questi anni hanno – non solo, appunto – lavorato con grande professionalità, ma anche tentato in tutti i modi di far arrivare una voce e una sensibilità diversa rispetto a quello che c’era prima. Con Giorgio vincono molte persone, che giustamente si sono affezionate alla sua sensibilità e al suo percorso. E poi, come detto, Giorgio ha vinto con un libro (il secondo, da parte sua) che ha una visione pubblica, politica della recente storia italiana. Qualcuno direbbe una visione morale.
Questo approccio è quello che Giorgio frequenta quotidianamente nella sua scrittura. Potete leggerlo sul suo blog. Giorgio è anche un autore che interviene nel dibattito pubblico con analisi lucide, senza alzare la voce come è invece prassi soprattutto su Internet. C’è, nella sua scrittura, la necessità e non il vezzo di mettersi a nudo, di non fare sconti soprattutto a se stesso.
Giorgio ha vinto con questa sua sensibilità. È naturale (ma non così scontato) che questa sua filosofia del lavoro confluisca nei suoi libri. E non sto dicendo che si è fatto carico di o che rappresenti un’intera generazione. Questa è un’ipotesi, semmai un’involontaria conseguenza.
Ma certamente Giorgio viene fuori da una generazione che spesso preferisce non esprimersi, o che se ci prova, lo fa utilizzando altre modalità – il costante sarcasmo, il citazionismo finto colto, il basso profilo a tutti i costi che cela un ego spropositato, a volte rancore. Sto generalizzando, ma è indubbio che grossa parte dei nati negli anni ’80 senta le questioni pubbliche come distanti, appannaggio di chi sa farci soldi o costruirci una carriera.
Auguri, Giorgio: adesso sei adulto. E grazie, per questo e per un bellissimo pezzo sulla rappresentazione del dolore che scrivesti molti anni fa, e che andrò subito a recuperare.