Quando infine lo richiude, lo soppesa e lo sistema sullo scaffale della polverosa libreria, il Supremo Lettore (che sono io, che sei tu che leggi, che sono soprattutto quelli che non ci leggeranno mai) comincia a riflettere sulla natura del libro appena concluso.
Se è scritto bene, con sottile e raffinato gusto – tradizionale o d’avanguardia, fa lo stesso –, dirà che è stato pensato per star fermo, al massimo girare su se stesso, dar piacere senza tuttavia andare a parare da nessuna parte – insomma, che è troppo letterario; se invece si è lasciato leggere in virtù di un intreccio ben calibrato, che non trova alcun ostacolo nella lingua, allora sentiremo il Nostro dire fatalmente: «Be’, niente male, ma la letteratura è un’altra cosa».
Se vi avrà trovato una voce d’autore libera, potente e creatrice quel tanto da farlo sbavare: «Ecco, ma di editing neppure l’ombra». E se al contrario la forma si sarà rivelata piana, limpida, composta: «Gliel’hanno riscritto da capo a piedi, senza dubbio».
E passeranno così gli anni e forse i secoli, e il nostro Supremo Lettore, tra un lavoro e l’altro, il matrimonio, i figli, i nipoti e i mal di schiena, avrà smarrito il tocco. «Non c’ho più tempo!», la sua ultima recensione, mentre le carte e le infinite pagine se le saranno divorate quei minuscoli Pesciolini d’Argento, veri amici e fedeli lettori – loro sì – di ogni autore, di ogni opera.