keres

Vacue, vacue fiammelle più che sagome o fantasmi. Animelle di un purgatorio svuotato, presenzucce sbiadite più che ricordi tangibili, per quanto concretamente stampate in condensa sulla vetrina che separava veranda e cucina.
Keres osservava i due uomini all’interno e non scorgeva che queste due fiaccoline, fiaccoline di speranza o meglio di un’ipotesi di biologia effettiva la quale, nell’istante stesso in cui non lo riguardava neppure, allora lo rincuorava, lo faceva caldo nel favo di polvere domestica che era il suo cuore non meno del crescente ronzio delle teste di morto attorno al neon crepitante, giusto a un passo dalla resa notturna attorno alla villa.
Più tardi, in quel nonsocosa stellato e disteso, l’apparizione di una civetta in volo – giusto un lampo, lo scintillio sulla lama di una fonte di luce inurbata (non certo il sole e non più le stelle, nemmeno, no, del nostro sistema solare) – avrebbe posto fine (fine, fine, fine) al turbinare di fervore nel petto blu, da tisico infoiato, del povero Keres.


Giovanni Scandia | L’inimitabile Morgenstein