Caro Mark (caro Luke), forse non lo sai ma c’è un terrestre, uno di questa galassia, che ha scritto che “il maestro è nell’anima, e nell’anima per sempre resterà”. Perché se non c’è un maestro, aggiungo io, non c’è anima. Avere un maestro è, credo, quello che più mi è mancato in questi anni.
Cos’è un maestro, in fondo? Yoda, il tuo maestro, dice che un maestro è il terreno su cui crescono gli allievi, e che quel terreno è costellato di fallimenti. Questo è il fardello del maestro, di ogni maestro, dice Yoda. Ancora una volta mi permetto di aggiungere: il maestro è chi insegna senza che tu neppure te ne accorga – ma questa, lo so, è un’arte ancora più raffinata, che appartiene a davvero pochi individui in giro per la galassia.
Tu, caro Mark – mi rivolgo a te in quanto Hamill, ma anche in quanto Luke Skywalker – di maestri ne hai avuti due. Se non bastasse Yoda, per te c’è stato anche Obi-Wan. Entrambi ti hanno dato anima, dunque intelligenza; poi è arrivato tuo padre, che si è ritrovato a insegnare in punto di morte – per quanto il suo esempio sia stato equivocato, tanto da tuo cognato Han quanto da suo figlio Ben: ma in fondo l’equivoco è naturale per ogni storia che col tempo avvampa in leggenda, mito, epica.
A proposito: devo supporre che le storie che ti vedono protagonista, e che spesso si basano sull’ellissi e su ampie zone d’ombra, non dicano abbastanza della frustrazione, la tua, di essere stato la speranza ma non il prescelto, il medium ma non il risolutore, e in fondo di venire sempre dopo tuo padre Anakin. Mi chiedo se sia stato sufficiente questo a fare di te un cattivo maestro per Ben. È bastata questa frustrazione a convincerti a gettare la spugna? Hai avuto cura del cadavere di tuo padre, e adesso misuri con orgoglio i passi che ti hanno portato lontano da lui, su un’isola che con la speranza condivide solo il verde di certi prati al mattino.
Ma non divaghiamo. Vedi Mark, dalle mie parti, sulla Terra, il maestro è anche colui che padroneggia un’arte. Secondo me questa definizione è parziale: la facoltà più importante di un maestro è la trasmissione. Non serve a nulla padroneggiare un’arte se non la trasmetti a chi viene dopo di te. Nel tuo caso Yoda e Obi-Wan sono stati molto bravi. Ma tu? Anche qui devo mettere in mezzo tuo padre. Persino ridotto in automa non ha mai smesso di credere, e di passare ciò in cui credeva a chi gli stava attorno – per quanto critico nei confronti della dottrina, e per quanto con modalità comunque piuttosto brutali, a volte. Ricorderai il suo ruolo agli albori dell’Impero, quando le teologie Jedi e Sith erano ridotte a mera superstizione e gli ufficiali non facevano che cianciare di controllo della popolazione a colpi di “terrore tecnologico”. Tuo padre-macchina, che avrebbe potuto essere il braccio armato di quel terrore (e che per gran parte lo fu), controbatteva agli ufficiali mettendoli in guardia dalla loro fiducia nella tecnica. Sapeva che le terminazioni nervose della macchina affondano sempre nella carne e nello spirito umano, sapeva che la stessa tecnica che lo teneva in vita non era sufficiente a spiegare la sua esistenza; l’amore per te, per suo figlio, lo avrebbe portato a rivoltarsi contro quell’armatura meccanica e a diventare puro spirito. Mark, tu sai che anche per te il destino è quello dello spirito, eppure non lo accetti. Ciò che hai visto in tuo padre ti rende cieco adesso a te stesso.
A me e a molti della mia generazione – noi intelligenti, noi iper-formati e smarriti, più lunatici e schizoidi che sentimentali, proprio come tuo nipote Ben – è mancato un maestro. Uno che non si mischiasse col rumore di fondo della macchina solo perché quel rumore gli ricordava l’avventatezza della gioventù. Uno che non confondesse il proprio fallimento – il suo, dell’epoca e delle guerre e delle rivoluzioni da lui combattute – con quello di una galassia intera. Il bruco, la farfalla, la fine del mondo: ti risparmio certi giochetti retorici in voga da queste parti – ma è così che stanno le cose. D’istinto guardiamo indietro per poter guardare avanti come vorrebbe la tradizione, ma non troviamo che il rifiuto dei maestri. Noi tutti cerchiamo un posto in questa storia, e qualcuno che ci dia una mano a trovarlo. Perché tiri indietro la tua mano meccanica, Mark? Dici di aver paura di noi, ma è di te che hai paura. Stai attento, perché alla fine è questo che trasmetti: paura, soltanto paura – a una generazione lasciata lì a confrontarsi tra pari, nell’illusione di essere i migliori della storia, in una storia che tuttavia non ha più storia.
Forse cercavo qualcuno più bravo di me, Mark, ma non l’ho trovato: ecco tutto. Qualcuno che fosse naturale ascoltare, senza paura né timore reverenziale. Qualcuno a cui rubare con gli occhi, se fosse stato necessario. Forse per me è tardi, e allora dovrò fare da solo. Chi vuoi che si prenda carico di un uomo della mia età, con la speranza, per di più, di cavarci ancora qualcosa di buono? Lo so, anche a te è stato detto che eri troppo anziano perché ti insegnassero; ma intorno a me non vedo che maestri mancati, esseri umani, fin troppo umani, che pongono il rifiuto come risposta – come te, molta gente confonde la capacità di insegnare con la possibilità di essere divinizzati, ma senza credere. Non è questo che ti è stato richiesto, Mark: mai, neppure per sogno.
Sai cosa penso? È strano, perché la tua storia, che è una storia per creduloni come quella di tuo padre, tua sorella e tutti gli altri, non era nata così. All’inizio era un tripudio postmoderno – androidi, strane razze aliene, astronavi, spade cyber-samurai, umorismo demenziale e invenzioni da fiaba – e poi è diventata un classico, dunque a sua volta una questione di fede. È già tanto, in questa parte della galassia in cui nessuno crede a niente perché tutto può essere creduto (certo, a patto di esser disposti a sopportare il miasma dei farisei e degli ortodossi e le loro stupide dispute fintamente teologiche). In questo mondo è cresciuto Ben Solo, più perduto – ben più di tuo padre – e obbligato a credere esclusivamente a se stesso e all’emozione del momento, che compiutamente cattivo.
Quanto a noi, Mark, non c’è molto altro da dire: il maestro mancato è un uomo che si sottrae, come te un uomo morto a se stesso. Ma la morte è un assoluto: da quel che so, non è tua abitudine farvi ricorso.