Parafrasando Battiato: modificando l’algoritmo, Facebook cambia molte cose nella vita – il senso le amicizie le opinioni.
In altri termini, Facebook si sta sostituendo allo scorrere del tempo e ai governi. Il nuovo regolamento sulla privacy piomba in testa a privati e aziende – le uniche categorie esistenti per Facebook, che tutto organizza e classifica in comparti stagni, desertificando la fantasia e il desiderio come fa il porno – chiedendo a noi un senso di responsabilità e chiarezza che Egli stesso mai ha saputo né voluto dimostrare.
Chissà, magari ci si allarma per niente e va a finire come coi cookie: un pop up sul blogghetto e via. Di fatto, ciò che per chi usa Facebook seriamente è giurisprudenza + informatica + marketing, per la maggior parte degli utenti è metafisica, strapiombo sull’irrazionale. C’è chi scambia un sito per una pagina Facebook, e viceversa. Chi usa il motore di ricerca interno di Facebook come se fosse Google. A Internet in generale chiediamo il vaticinio come all’oracolo il miracolo del futuro nell’antichità. I bit come moderne interiora di animali.
Ma se non abbiamo ancora imparato a usare la tv, perché mai dovremmo pretendere di saper usare Internet? (La casalinga di Voghera è ora la milf, di Voghera: non ignora lo spettacolo, ne fa parte.)
L’altro giorno un signore magrissimo mi ha raccontato che ha un profilo fake con un nome “jihadista” (lo ha detto lui) e tanto di foto con barba lunga finta. Di tanto in tanto si diverte a postare pensierini di politica locale, filastrocche, qualche cosa d’amore su Gesù e la Madonna. Era divertito, mentre lo raccontava: a tutti piacciono i balli in maschera, sono delle piccole rivoluzioni personali.
Poi però Facebook gli ha chiesto i documenti. Il signore si è spaventato: e se succede “qualcosa” e mi arrestano? Gli arrivano richieste d’amicizia da signorine svestite e prosperose, quindi si arrende, ridacchia e dà i documenti.
Facebook è stato il collasso delle nostre vite digitali in una grande piazza in cui si mischiano spazio sociale, economico, politico, emotivo, cazzeggio. Il dramma è precipitato nella farsa che è ogni spazio pubblicitario. Ma è stato il nostro collasso, non il Suo – checché ne dicano i detrattori, quelli che “ormai siamo tutti su Instagram”: quindi su Facebook. Il quale invece è in gran forma, e organizza questo collasso secondo le solite categorie ben ordinate: Marketplace, Facebook Jobs, Workplace, ecc., che rispondo a quelle, altrettanto cliniche e pulite, che sono prodotto, azienda, personaggio pubblico, politico, causa, community, e così via.
Come esseri umani siamo sempre chiamati a sclassificare, spaginare, stropicciare le aspettative e le definizioni altrui. Su Facebook e in grossa parte della nuova Internet non si può. Non si può essere neppure depressi, che subito qualcuno viene a salvarti! Massimo Troisi sarebbe stato segnalato in meno di un minuto, a meno di verificare la sua pagina per far intendere a Facebook che si trattava di un brand.
Massimo Troisi. Brand. “Jihadista” l’ho messo tra virgolette: citavo, giuro che non cospiravo alle spalle di nessuno, spero sia chiaro alle autorità competenti con cui Facebook compete in fatto di giustizia e diritto d’opinione. Malesangue non vuole vendere niente, a parte se stesso quando si autotagga in un post come questo. Per il resto parla di letteratura, finzione, dunque (secondo le categorie vigenti): fake news.
“Azzerategli l’organico!” è il nuovo “tagliategli la testa!”. Il racconto della struttura si fa nuova sovrastruttura: marxianamente, siamo fregati.