Quando nasce l’uomo è tenero e debole; quando muore è duro e rigido.
I diecimila esseri, piante e alberi, durante la vita sono teneri e fragili; quando muoiono sono secchi e appassiti. Perché ciò che è duro e forte è servo della morte; ciò che è tenero e debole è servo della vita.

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Ieri, domenica, a Chantilly mentre Severo rapito dal paesaggio autunnale, grigio, sfumato eppure così “tridimensionale” e profondo diceva: “È un puro Corot.” Lui si è chiesto perché da qualche anno ama viaggiare, mentre, quando aveva vent’anni, assolutamente no. E trova una ragione: quando era giovane non aveva la scrittura e era solito dire agli amici: “I paesaggi, le città non mi interessano perché non li posso far miei. Non li posso mangiare.”
Ora, invece, tutto lo interessa e lo riguarda perché ha la scrittura, ha uno strumento, ha gli occhi, una bocca, uno stomaco per mangiare e guardare la realtà. Le città e i paesaggi. Per tutto questo solo ora ritrova nei confronti del mondo esterno quella stessa curiosità che aveva nella fanciullezza. In questo il suo trentunesimo anno lo avvicina a quel bambino che era più di quanto sia mai accaduto nel corso della sua giovinezza.
Mentre scrive queste note, sulle prime pagine del libro di Bachmann, il sole è rispuntato a Boulogne.

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“Sulla fine del viaggio taceva. Non avrebbe voluto finirlo, alla fine avrebbe voluto scomparire, senza lasciare traccia, diventando introvabile.”
Ma lungo il suo viaggio di fading, un sabato pomeriggio di ottobre, si è fermato a colazione in una casa nella banlieu parigina. La donna che abita la casa e che lo è venuta a prendere all’aeroporto, riempie di sé le stanze e l’atmosfera.
Lui è molto stanco eppure non si abbandona al sonno. Gode di quella casa e del cibo che lei ha preparato. Più volte, parlando, hanno entrambi le lacrime agli occhi. Lui pensa che questo – parlare con gli occhi umidi – sia l’unico modo reale che le persone hanno di comunicare. In fondo è questa donna che, in una lingua straniera, gli ha dato la parola. Durante il suo viaggio la ricorderà con quel sentimento di sacralità che spontaneamente nutre nei confronti di ciò che riguarda la sua specie, quindi l’umano.

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Quando era poco più che un ragazzo – e a ricordarlo ora si stupisce di quanto le cose siano cambiate per lui – aveva scritto queste parole:
“Solo l’amore mi lega alla vita, alla realtà, alle voglie e quindi ai discorsi. Senza amore sono niente, se non ho una persona che mi frulla nella testa sono a secco, terribilmente vuoto. E non scrivo.”
Ora, in volo sopra la Germania, specchiando il suo viso invecchiato e appesantito contro un tramonto siderale, capisce che da quando ha rinunciato all’amore – in certi momenti, camminando per strada, nella musica di una discoteca, solo nella sua stanza, sente queste parole: “È morto! È morto! È morto!” colpirgli il cervello come tante frecce infuocate – altro non sta facendo che concentrarsi su di sé per imparare ad amare quella persona che porta il suo stesso nome, che gli altri riconoscono come se stesso e che Lui sta portando in viaggio attraverso l’Europa.
Ora sa che per continuare a scrivere e progredire deve amare quella stessa persona che la carta d’imbarco ha segnato al suo stesso posto, lì, accanto al finestrino che gli apre lo sguardo verso un giorno e una notte d’Europa.


Pier Vittorio Tondelli | Biglietti agli amici