Questa è Alexandria Ocasio-Cortez che si appresta a cucinare non so cosa in una diretta Instagram andata in onda la sera stessa in cui è diventata la più giovane rappresentante del Congresso americano.
Di lei avevo parlato nel controverso post sulla foto di Salvini/Isoardi, qualche giorno prima che fosse eletta, per dire che il modello della comunicazione personale e totalmente disintermediata da parte dei politici è il futuro, che ci piaccia o meno, e questo al di là di Salvini. Nella sua diretta (e in quelle successive) Ocasio è andata però ben oltre ogni mia più candida aspettativa.
Per farla breve, Ocasio si mette lì in cucina, rigorosamente in tuta, a grattugiare un’infinità di parallelepipedi gialli (formaggio americano?) per poi passare ad affettare non so quanto burro. Questo, oltre a ricordarci quanto triste e perversa possa essere la cucina americana, le impedisce anche di imbastire il messaggio politico che vorrebbe lasciare al suo pubblico. Fatto non secondario, di tanto in tanto Ocasio mangiucchia quello che affetta e grattugia per poi passarsi le dita unte tra i capelli. Per quanto mi riguarda questo sarebbe sufficiente a farmi dimenticare il livello comunque interessante di socialismo dei suoi discorsi.
Messo su un disco della Winehouse, Ocasio comunque ci riprova. Sta parlando di non so quale legge americana, ma nell’inquadratura spunta un tizio alto, palestrato, nerissimo, anche lui in tuta. Ocasio lo presenta come un amico, dice vieni qua dove vai saluta gli amici; al che, il mio provincialismo di italiano del sud mi impedisce di ignorare la possibile evoluzione softcore di tutta la faccenda. Ad ogni modo, l’amico non ha alcuna intenzione di comparire nella diretta, quindi saluta e sparisce (per il momento).
Ocasio tenta di riprendere il discorso mentre di nuovo grattugia&affetta, ma ecco che deve subito misurarsi con l’apertura di un enorme barattolo di non so cosa. Barattolo che non vuol proprio saperne di aprirsi. Per niente. E quindi la nostra tenta prima di tenerlo fuori dall’inquadratura con la nonchalance di un’attrice navigata; poi, sempre più imbarazzata perché proprio non riesce a risolvere il problema, si vede costretta a richiamare in campo l’amico, che non senza una punta di imbarazzo (anche lui, ma per lei, come del resto ne proviamo anch’io e altri che commentano in diretta) lo apre con una semplice torsione del polso. Voilà, centinaia di migliaia di articoli sul mansplaining andati in fumo in un sol colpo.
Vi risparmio il seguito. Nei giorni successivi Ocasio si cimenta con altre dirette. In una di queste c’è anche il pulsantino che rimanda a un sito. Lo swippo, aspettandomi di finire su chissà quale piattaforma del Partito Democratico, ed eccomi invece su un bellissimo sito di ricette. Dunque, mi chiedo, adesso i politici si mettono a fare anche gli influencer? Non so se Ocasio sia pagata come una Ferragni o un Fedez per fare pubblicità a questo sito (che rimane bellissimo, sia chiaro), ma di certo è chiara la direzione che lei sta intraprendendo come personaggio politico. (Se state pensando ai video di cucina&giardinaggio della Santanchè su Instagram, be’, non sarò certo io a cercare di farvi cambiare idea.)
Ora. Bisogna tener conto che Ocasio è giovanissima (oddio: ha 29 anni, mica 18), quindi la domanda è se questa nuova generazione di politici non sia semplicemente programmata per fare cose del genere. Sembro indignato? Non lo sono. Sono pur sempre tra quelli che non vedono l’ora di diventare al più presto la più pura tra le macchine digitali. Però. La forma è sostanza, forse, e qui il punto è la sospensione dell’incredulità, la nostra disposizione a credere in questi personaggi come fossero, appunto, i personaggi di un film o di una serie. Qui servono sceneggiatori, non esperti di comunicazione politica. Definitivamente.
Se poi la comunicazione politica vira sull’influencer marketing, da un lato potremmo anche pensare che non c’è nulla di nuovo – le lobby che sostengono questo o quel candidato ci sono sempre state, specie negli USA –, ma da un altro questo significa anche spostarsi in un settore in cui bisogna mettere in conto follower comprati, bot automatici che commentano post scritti da altri bot (a volte ho la sensazione che l’IA stia cominciando a produrre contenuti per se stessa), e in ultima analisi la possibilità che l’influencer marketing sia una bolla come un’altra destinata a passare (rieccomi in modalità Fassino che sfida Beppe Grillo a formare un partito e a presentarsi alle elezioni); questo almeno finché i bot non avranno diritto di voto o non potranno consumare i prodotti pubblicizzati dalla tua azienda su Instagram.
Non vedo l’ora di diventare un algoritmo umano, certo, ma al momento non lo sono ancora. Quindi credo, ma potrei sbagliarmi, che abbiamo ancora bisogno di contenuti politici e che questi contenuti non siano da cercare sui profili personali di questo o quel politico. Ripeto, su quelli ci vai se cerchi una storia, bella o brutta che sia. Se ti piace interessarti di politica e poi magari andare pure a votare con un minimo di criterio, ci sono account istituzionali che fanno bene il loro lavoro. Tra questi l’Instagram del Parlamento Europeo, che comunica senza troppo clamore grossomodo tutte le iniziative che si prendono a Bruxelles: sì, anche quelle che ci piacciono meno.