Su Blowup di giugno c’è una lunga intervista-sproloquio al sottoscritto con annessa recensione de Il corpo estraneo (entrambe scaricabili da qui).
Ringrazio Fabio Donalisio per l’attenzione che ha voluto dare al libro. Nell’intervista si è parlato di tante cose; qui tra qualche rigo trascrivo due domande (e risposte) che non sono entrate in quelle due pagine per motivi di spazio, ma a cui tengo molto e che servono a dare un’idea del tutto (tutto cosa? tutto!):
Quello che, al contrario, manca in copertina è l’onnipresente (e spesso utilizzata a sproposito) dicitura “romanzo”. Ti chiedo un’ulteriore sforzo di autodefinizione, di abbozzare una microrecensione in poche righe. Perché mi sembra che questo tuo libro tenda a sfuggirle, le categorie… (e leggendo la bandella, il modo in cui descrivi le tue pubblicazioni passate sembra confermare l’impressione).
Mi fai sorridere, mi viene in mente una persona a me molto cara che, qualche settimana fa, era indignata perché sulla copertina di un libro che si è trovata in casa c’era appunto la dicitura “romanzo”. Comunque. Questo è un romanzo, compiuto, lo è, e come dici tu può sfuggire alle categorie perché ci sono più livelli di lettura. Per me c’è della liberazione, dentro, il percorso di Danilo Dannoso, il protagonista, è anche quello, affrancarsi dall’estraneità in cui si è rifugiato da buon compulsivo come tutti noi. Poi non so che fine faccia, Danilo, ed è anche un bene che un autore non sappia poi tutto dei suoi personaggi. Ti dirò che romanzi ne ho scritti altri, che probabilmente non pubblicherò mai, e non è un caso che invece abbia pubblicato finora solo racconti e strani ibridi. Per Il corpo estraneo è stato tutto casuale e se non ci avesse creduto l’editore non staremmo qui a parlarne. Romanzi ne scrivono tutti, musicisti, scrittori bravi e cattivi, forse dire “Ho scritto un romanzo” equivale a uno status in questa società – non solo letteraria. Del resto sono romanzi anche i film, le serie tv con cui riempiamo le nostre ore di solitudine. Così non sono molto convinto che il romanzo sia la forma migliore, almeno per me, in quest’epoca, per esprimermi, o almeno non la più appropriata come piace pensare a molti editori. Ci sono altri spiragli in cui infilarsi, per uno scrittore. E così nel mio Corpo estraneo, mi sono divertito quantomeno a infilare più livelli di lettura, utilizzando comunque una prosa poco da romanzo, per l’appunto.Tu sei poeta, lo so. Inedito su carta, ma non in rete. Ma anche se non avessi letto i tuoi versi, avrei capito al volo che c’è un lavoro di stampo poetico, forse uno sguardo. Come la vivi la poesia (perchè chi ce l’ha, quella maledizione mica può fare finta, tocca viverla)? Dove la cerchi? E, soprattutto, dove la trovi?
Mi cogli impreparato. Però se lo dici tu, che sono un poeta, devo fidarmi, devo assolutamente fidarmi, perché ho letto i tuoi versi e leggendoti mi sono ritrovato meno solo e meno scemo come essere umano. Il fatto è questo: ho cominciato a leggere narrativa molto tardi – non sono di quelli che hanno letto tutto Tolstoj, non posso tenere conferenze su DFWallace, niente di tutto questo. E prima, semplicemente, ascoltavo canzoni. Così le prime cose che ho scritto erano in versi. Alla scrittura in versi sono tornato da poco e, anzi, forse ho finito di nuovo. Cerco di rimanere sul termine: “verso”, che è soprattutto uno spezzare il fiato, il ritmo, un semplice andare a capo perché tutte intere certe cose non sapevo dirle. E “verso”, poi, mi fa pensare a un grugnito, un muggito, un miagolare, che sono tutte cose che durano poco. Ho quella misura che dura poco. Ovviamente la poesia non è solo quello, e allora ci metto pure che mi sono formato con gente come Richard Brautigan, che era soprattutto un poeta che poi ha scritto libri che sembravano romanzi. O Vittorini. Il Vittorini di Conversazione in Sicilia non guarda solo agli americani (il saggio indica la poesia, e lo stolto guarda il dito, cioè Hemingway), ma ha della poesia infinita, dentro. E ad oggi credo che la scrittura breve (mi vengono in mente anche i “pizzini” del D’annunzio vecchio e cieco…), il frammento, il “verso”, che sappia dialogare con la forma canzone e con la letteratura, ecco, credo che sia la cosa che può davvero raccontare e parlare alle persone. Penso ai rapsodi, agli aedi, ma anche agli aerei: se c’è una compagnia aerea che mi assume per leggere qualche mio pezzo per tranquillizzare i passeggeri durante una turbolenza, io ci vado, e lì gli leggo pezzi brevi, mica un romanzo. E quindi, dato il gioco di parole, faccio il tifo per gente come Bergonzoni o Guido Catalano, che è uno che le cose che ho detto fin qui le sa bene.
E dunque dove la trovo, la poesia, e dove la cerco? Cerco di farmi cogliere impreparato, come all’inizio di questa domanda. Se è lei, la poesia, a cogliermi, è un miracolo. Se sono io a scovarla – e credo che si sia vivi finché si è in grado di scovarla, e poi vederla, e poi non maltrattarla – be’, allora mi do una pacca sulla spalla e mi dico: Bravo Marco, sei ancora vivo. Comunque ne trovo sempre al mare, lì ce n’è a bizzeffe e per l’eternità.
***
Bon. A proposito del tutto, segnalo anche le bellissime parole che Marco Lupo ha voluto utilizzare per raccontare il mio libro sul suo blog, qui. Con i lettori di questo mio blog invece ci vediamo sabato 2 giugno, sempre su questi nostri schermi.