Da oggi fino a venerdì 28 settembre il sito Cinque capitoli pubblica un mio racconto a puntate.
Il racconto si chiama Nessuno. Sul titolo, che riporta alla domanda circa la vera identità di Ulisse posta da uno dei protagonisti della vicenda, continuo a riflettere, essendo spuntato fuori all’ultimo. Credo – non ne sono certo – che se il racconto continuasse, diverrebbe tra le altre cose una riflessione sull’identità di chi parte oggi dalla propria comunità d’origine in cerca di lavoro o di fortuna. Ho pensato questo (ma dopo aver scritto il racconto, in cui in effetti c’è un ragazzo che vuol lasciare il paese in cui è nato): un tempo si partiva per acquisire un’identità. Dopo le fatiche dell’inizio in un posto nuovo, cominciava la vita adulta, si acquisiva una vera identità e questa, in qualche modo, era una certezza. Guardandomi attorno oggi, guardando indietro ai miei vent’anni (e al modo in cui si partiva per l’università all’epoca, per esempio), mi sembra che i miei coetanei, o in generale chi oggi parte per l’altrove, rischi al contrario di smarrirsi nel mondo, di diventare un bel niente. Chi partiva per il Belgio un secolo fa, tra umiliazioni e violenze, diventava minatore. Non so molto dei miei amici, cosa siano diventati.
Ma è una cosa su cui tornerò in futuro, se prenderà forma in maniera appropriata nella mia mente.

In ogni caso. Nessuno contiene delle citazioni esplicite di autori piuttosto noti (e che notoriamente apprezzo). Si è trattato di citazioni necessarie, non indispensabili. Ho riflettuto molto sulla restituzione: da un certo punto in poi, con lo scrivere si possono restituire storie ascoltate e lette altrove. Ho pensato che la restituzione è costituita dal trattenimento nella propria memoria delle storie con cui si viene in contatto (perché io stesso non le perda), e dalla trasmissione ad altri delle stesse.
Questa è per me la restituzione e allora spero che le citazioni che ho infilato in Nessuno, che saranno svelate nella puntata di venerdì, spingano qualcuno ad andare a leggere i testi (le storie) cui ho attinto.
Nel frattempo, trascrivo qui l’incipit del racconto:

Sua madre era pazza. Solo in punto di morte realizzò che proprio suo figlio era il tipo d’uomo che aveva inseguito tenendo dentro di sé decine d’altri uomini. Allo stesso modo C. sentì per la prima volta sua madre solo quando la vide distesa sul letto senza più ombra di cuore o respiro addosso. Quella sera C. aveva diciotto anni e doveva incontrare una ragazza. Per molti giorni non volle credere che sua madre fosse morta davvero e che la sua vita sarebbe continuata uguale nell’albergo di suo padre. L’architettura di pensieri che s’installò nella mente di C. in seguito a questi avvenimenti lo spinse a dare concretezza all’idea di lasciare il paese: C. aveva sentito sua madre e soprattutto il desiderio di sua madre, che C. non diventasse un arido e smorto uomo come suo padre (continua).

A proposito, la foto quassù devo averla scattata sul finire degli anni novanta, in gita scolastica; è venuta fuori mentre sistemavo la mia stanza, che è un incrocio tra una giungla e una serie infinita di romanzi.