Da brava puttana stasera sono tornata a casa piena di lividi.
Prima di girare la chiave nella serratura e tornare nel mondo subacqueo dei miei, ho preso a ripetermi in mente: non è colpa tua, non è colpa tua, non è colpa tua.
Se sei innamorata di un licantropo.
Sì, più o meno suona così, nella mia testa, quando non voglio che se ne accorgano.
Ma niente da fare. Il vecchio mi ha guardata, ha notato la gonna strappata, i graffi sulle cosce e ha capito. Stava davanti alla tv. L’ultimo uomo sulla faccia della terra senza schermo al plasma. Buon per lui. Sembrano più magri gli esseri umani, in quella vecchia scatola.
A terra aveva lasciato una lattina di birra. Ha detto che la mamma dormiva, di far piano e disinfettarmi. Quest’ultima cosa l’ha detta sottovoce. Peggio che svegliare mamma c’è solo la vergogna che è in grado di provare quella donna. Ma che vergogna del cazzo, poi. Al vecchio ho detto chiaro e tondo che non avevo niente, anzi: prima ho detto solo «Ok».
Lui ha ripetuto quella cosa del disinfettarmi, neppure troppo seccato.
Di queste notti umide non rimane che l’odore. E un mal di denti. L’umidità fa male ai miei piccoli denti, non certo ai suoi. Stasera mi avrebbe staccato un braccio. Ma è venuto prima. Ha detto che sono una puttana, e io a quel punto mi sarei fatta mangiare, per intero. Sono mesi che lo so, che non lo amo più, e non dipende certo dal lavoro, dal fatto che ci vediamo solo due volte al mese, o peggio dal fatto che lui è una bestia. Dipende da me. Una di quelle conquiste che t’imprigionano.
Domani gli dirò addio. E dirò addio ai miei, a questa casa che s’impregna così facile d’umido. Questa non è più la mia città, perché qui piove troppo, quand’ero bambina non era così, e io odio chi vuol vivere da bambina – non ci si può sempre inseguire da sé – io voglio vivere e basta. Me ne andrò e basta – ma la sento, mia madre è sveglia, nell’altra stanza, comincia a piangere, comincia a piovere.