Ay settembre, diceva Alberto Fortis o chi per lui. Ma c’è un altro motto settembrino molto interessante che fa più o meno così: “Bollicina, non credere all’ebbro settembre, non sembra ma è febbre”. Com’è e come non è, settembre è il mese degli inizi discreti. Per questo piace ai pazzi e ai disforici. Non ha il gelo dell’inizio di gennaio, che è l’inizio di tutti gli inizi, ma il tepore ideale per chi è affetto da saudade e i calzoni lunghi per chi ama la montagna. Puoi fare dei sogni o dei progetti, a settembre, puoi sentirti pronto all’abnegazione per un nuovo anno di lavoro lasciandoti alle spalle gli annegamenti dell’estate appena trascorsa. Ma sono tutte illusioni, e questo sotto sotto lo sanno anche i pazzi e i disforici.
E poi settembre è il mese in cui è nata la mia città, l’ultimo e forse unico mese in cui si apre davvero a festa Francavilla, che proprio il 14 settembre festeggia la sua Madonna della Fontana, una madonna ambientalista dato che preferì salvare la pelle di una cerva piuttosto che quella di un cacciatore. Anche nel caso della mia città, però, passata la festa si torna alle vite dei chiusi, dei pazzi e dei randagi che restano in giro per tutto l’inverno in attesa della prossima (e della propria) estate. Passa la Madonna e passa settembre, la città stavolta si chiude a festa, alla propria festa privata.
Per l’occasione, copio qui di seguito un estratto dal mio secondo libro, La Passione, in cui si parla proprio di settembre, di quel pazzo di Rommel Il Principe, dei randagi e della leggenda della madonna ambientalista di Francavilla Fontana.
Buona lettura.
§
Leggenda vuole ca li franchiddisi tornano in città doppo la festa della madonna di la funtana, la patrona, che cade il quattordici settembre. Tornano come lumache, pianopiano, consumando il proprio passo e sudore, dal mare, campomarino o san pietro, o dalla campagna, termitone, bax, palmarino. Insomma, verso taranto, lecce, o ceglie, si muovono lentamente i francavillesi d’estate, prima del ritorno.
Ma è oramai leggenda, appunto: dato sì che cu tutti li locali e li bbar ca stanno a francaidda in estate vengono pure da fuori paese per uscire alla chiazza, allora molti francavillesi rimangono in città, figuriamoci, niente più bellavita esotica. Non si spostano più, i francavillesi. lontano il ricordo di quella città deserta e ustionata, coi palazzi barocchi che imponevano il silenzio su via roma; e lontano pure il rimorso di non avere approfittato del deserto.
Quest’anno poi settembre è doppio: oltre alla madonna, col concerto finale di amici nanzi alla chiesa madre e i fuochi d’artificio tra la nebbia di via vecchia ceglie, sta pure la notte bianca, ca qqua si chiama notte degl’imperiali in onore alla famiglia ca è purtatu francaidda pi ttant’anni, puru ca mo no cci stae mancu nu discendente qqua, apparte rommel il principe, che dice di essere imperiali da parte di madre.
Rommel di solito scompare per mesi, poi lo rivedi alla chiazza, col ciuffo lungo, tene na bbella facci, non fosse per i denti squatrafatti dalla carie e la barba ca cresci a cazzi sua; e ttene sempre nna camicia mmucata di birra o caffè che copre fino alla pancia, cullu ddicu ca sfugge a ogni controllo; e spesso i pantaloni culla bbottegaperta; e l’infradito cu lli piedi sempri mmucati. Nsomma, rommel ete unu di quiddi ca rimarranno poi per tutt’autunno e inverno alla chiazza, quando passa stu settembre, prima di sparire di nuovo. Dice ch’è afasico, allora giustifichi certe risposte ci li ddumanni comu stae: tempo londinese, dice, tornando a maledire i milanesi, ma sottalengua; oppure eti iddu ca ti faci ncunna domanda strana: l’hai pelato il gatto? dai, andiamo a mare a suonare la sabbia? lo sai che siete tutti figli di berlusconi e vallanzasca, no? oppure ride così, dal nulla, culli molari bucati; però parla sempri taliano, ca è studiato a milano, negli anni ‘80 – fin quando quella, racconta, non l’ha mollato ed è tornato qua.
Sempre in italiano, un settembre, ti ha raccontato sta storia della torre di l’orologiu: devono venire gli zeppelin, è dittu, devono legare la torre con le corde e se la devono portare via, lontano, a londra, e ci devono suonare i beatles, sopra.
Dopodiché, sì, dopo questo settembre, veramente non rimarranno che rommel e i randagi, alla chiazza, nel lungo autunno franchiddese, lontano avveramente da ogni ricordo: e da ogni rimborso.
Ogni tanto ti sfiorano a grande velocità mentre st’assitutu a nnu bbar, diretti chissà dove, a ammonire chissà chi. Randagi ni stanno assai, a francaidda: la maggior parte vive in branco, in periferia, 167, campagne. Abbaiano alle auto e ne vengono schiacciati, di rimbalzo.
In centro c’è un piccolo branco, ciondolano tra la pizza e il viale, hanno pure imparato ad attraversare la strada, col freddo accolti di tanto in tanto in un tabacchino che gli mette dei cartoni dove dormire, dentro, mentre sta la fila pi sciucà allu videopoker.
Tengono pure dei nomi: nero, sembra un drago a pelo lungo e corvino, che se lo vedi ti fa paura ma non ha mai nemmanco abbaiato; franco, taglia media, pelo corto marrò, il primo ad abbaiare ai nuovi arrivati che di tanto in tanto provano a sfidare il dominio randagio della chiazza; e lucia, la più vecchia, pelo lungo arruffato, nna razza di quiddi ca stanno intra tutti li paisi, cu lli stessi malatij (ni stae uno uguale paro paro a lecce, per dire). Lucia tene i fianchi e le ovaie gonfie di tumori, ma abbaia ancora; ogni tanto la vedi riversa sul dorso, sull’asfalto della chiazza, che si gratta muovendo le zampe posteriori su e giù, manco nna malota. a qualcuno fa tenerezza, sembra ca balla: ma è solo malata.
[…]
Leggenda per leggenda, la cerva invece si salvò. Mastro elia la trovò ad abbeverarsi a un laghetto nella boscaglia, e non esitò a scoccare la freccia per far piacere al principe. Il quale, ore dopo, con mastro elia trafitto dalla freccia che aveva improvvisamente volto la punta verso di lui – non è dato sapere se sarebbe sopravvissuto – il quale principe scoprì che tra i cespugli dove si abbeverava la cerva c’era un quadro della vergine. Era fine estate, tempo di erigere una chiesa a quella vergine che aveva salvato un animale sacrificando una specie di profeta.
Poi, questioni di ordine burocratico: per popolare la zona, il principe concesse franchigie assolute per chi si fosse stabilito nella nuova città. E allora arrivarono i primi banditi, i pirati, i pistoleri, dice un’altra leggenda. Certo è che, quannu ti pprisienti ad altri pugliesi, ancora ti chiedono se sei di villafranca, il tuo vero nome.