E così ho incontrato La Balena Bianca. Ma era una rivista letteraria online. Del resto è improbabile che la Balena si manifesti come qualcosa di concreto. La Balena, come il fascismo e il rock’n’roll, è uno stato mentale. Ad ogni modo, i redattori de La Balena Bianca sono stati così gentili da sottopormi le domande della rubrica Dieci per Dieci, in cui s’intervistano dieci (appunto) scrittori italiani che hanno esordito negli anni dieci (appunto) di questo secolo. Riporto qui di seguito l’ultima delle dieci (appunto) domande con relativa risposta. L’intervista completa si può leggere invece qui.
10) Se potessi essere un personaggio letterario, chi ti piacerebbe essere?
Mio dio, in cosa mi sto ficcando. Dunque, mi fa un po’ paura pensarmi come personaggio letterario per due motivi. Da un lato mi toglierebbe la possibilità di scrivere (ma non mi sembra una tragedia). Da un altro l’idea di essere evidentemente circondato da altri personaggi, più che da persone, sarebbe terribile. Comunque, se proprio devo scegliere, a volte ho l’impressione di essere già stato il Colin de La schiuma dei giorni. E non mi sarebbe dispiaciuto essere il protagonista de La casa dei libri, di Richard Brautigan (ripubblicato da Isbn col titolo L’aborto), per lo sguardo e le attenzioni che riserva prima ai manoscritti nella sua libreria e poi alla sua Vida, la donna più bella del mondo.
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Ancora a proposito di interviste. In occasione dell’anniversario della morte di David Foster Wallace, minima&moralia ripubblica un’intervista allo scrittore americano suicidatosi cinque anni fa. L’intervista è del 1993 ma ci sono delle cose molto vere, direi attuali (si dice così, no?), alcune delle quali ricopio di seguito:
L’ironia ha svolto una funzione molto utile, facendo piazza pulita di un sacco di luoghi comuni e falsi miti, nella cultura americana, che non servivano più a nulla; ma purtroppo non ci ha lasciato niente da cui ricominciare a costruire, se non un atteggiamento di sufficienza sarcastica, di nichilismo autoreferenziale e di avidità materiale.
[…]
La mia è una generazione che non ha ereditato assolutamente nulla, in termini di valori morali significativi, ed è nostro compito crearceli, e invece non lo stiamo facendo. E ci viene detto, dagli stessi sistemi di cui gli anni Sessanta facevano benissimo ad avere paura, che non dobbiamo preoccuparci di inventare sistemi morali: insomma, che il senso della vita sta tutto nell’essere belli, fare tanto sesso e possedere un sacco di cose. Ma il risvolto sinistramente delizioso è che i sistemi che ci dicono questo stanno usando le stesse tecniche che avevano usato gli autori degli anni Sessanta: ossia tecniche postmoderne come l’ironia nera, le involuzioni metanarrative, tutta quella specie di letteratura dell’autoreferenzialità. Noi ne siamo gli eredi. E direi che la penso ancora nello stesso modo. Sto ancora scrivendo di persone giovani che cercano di trovare se stesse dovendosela vedere non solo con dei genitori che gli impongono di conformarsi, ma anche con lo scintillante e seducente sistema elettromagnetico tutto attorno a loro che gli dice che non ce n’è bisogno. Non so se mi spiego.