Ristorante “L’Assassino”, 24 giugno 2014, ore 20.15.
Da pochi minuti l’Italia è fuori dai Mondiali. Il locale è vuoto, come vuoto è sempre da quindici anni, almeno a sentire Alberto, che lo gestisce da venti. L’uomo che è con me, un trentenne assennato e molto presente a se stesso, almeno a dir dai modi e in particolare dal modo in cui mi comunica che ha fame, è uno scrittore. Abbiamo seguito la partita insieme e adesso stiamo rilassandoci, piano. Non che la partita ci abbia preso granché. L’uomo che è con me è uno scrittore e quest’anno, anche lui, ha scritto di calcio. Ha pubblicato un libro su Luiz Nazario Da Lima, sotto pseudonimo. È il quarto che pubblica e solo il primo, una raccolta di racconti con protagonista un drago – laddove l’esser draghi veniva trattato come una malattia al pari della melanconia, con tanto di diagnosi medica – è uscito col suo vero nome. Dopo sono venuti un libro inchiesta su Marco Travaglio, un porno con protagonisti un senatore e una scrittrice, e infine un giallo su Hitler (“A thriller for Hitler”, posso rivelarne il titolo perché è sparito da qualsiasi libreria).
Adesso, dice lo scrittore, Adesso possiamo goderci i Mondiali per quello che sono, lontani dall’ossessione di dover essere protagonisti di qualcosa per poterla vivere o anche solo lontanamente parteciparvi. Adesso c’è lo sport vero, il gesto tecnico puro, bello (o brutto) e disinteressato.
Siamo qui per un’intervista. Ho saputo da amici comuni che l’autore di questo libro su Ronaldo, uno dei tanti che parlano di pallone usciti nell’anno dei Mondiali, era in vacanza da queste parti e così sono riuscito a intercettarlo. L’ho scritto sotto pseudonimo perché non ho un buon nome o forse molto più semplicemente non ne ho uno, racconta.
Passata l’aria di tragedia nazionale che dura in genere una notte, dice, Resteremo in pochi a guardare i Mondiali. Potremo parlarne serenamente. Guardare le partite in silenzio. Ignorarle, se vogliamo. Si potrebbe persino lavorare!, scherza.
Le linguine allo scoglio non sono granché e lo scrittore lo sa, se ne accorge, non ne fa mistero. Non è uno che si è lasciato affascinare da questa terra che tutti attrae ultimamente. C’è troppo sole, dice, A ogni ora del giorno. E il cibo è meno buono di quello che si racconta. Ho l’impressione che la vera fortuna, da queste parti, è che ci sia sempre da mangiare, non importa cosa e con chi.
Di tanto in tanto Alberto viene, fa un’analisi della partita, porta altro vino. Sono il suo unico cliente da qualche mese, ormai, e trovo che ci sia qualcosa in comune tra l’anima felice e disincantata di questo ristoratore e quella dell’uomo che mangia con me.
Il libro su Ronaldo l’ho scritto in una settimana. Per due giorni e due notti ho raccolto le informazioni. C’era tutto su Internet, scritto (male) da altri. Non ho fatto che raccogliere e riscrivere cambiando le parole. Trecentocinquantunomila battute facili. Nessuno andrà a controllare. Del resto il genere letterario per eccellenza, di questi tempi, è la notizia finta, o almeno non verificata, e che altrettanto finta o non verificata si propaga. C’è così tanta voglia di credere, in giro, il che non è una brutta cosa… ma c’è così tanta voglia di credere, direi quasi una necessità, che quanto più finto scrivi, tanto più rendi un servizio. Uno come Borges o Manganelli, oggi, sarebbe reputato un cronista molto puntuale.
A proposito di Borges spiega che il “Senza paura” o quel che era inciso sulla sua lapide, detto dallo scrittore argentino, era troppo facile. Troppo facile, dice, Per uno che si è nascosto in casa tutto il tempo, dentro e dietro i suoi libri… Paura di cosa, lui? Borges, borghese… Siamo tra l’ultimo bicchiere di rosato e il primo degli amari e forse si sente. Prendi il cileno, invece, non mi viene il nome, quel libro con il prete di Pinochet, quello che comincia grossomodo così: “Adesso muoio, ma prima vi riempio tutti di merda come si deve”.
Alberto chiede se prendiamo il dolce, diciamo di no, lui insiste, abbiamo fatto solo antipasto, molto scarso, e primo, noi insistiamo a nostra volta, forse ci piace l’ebbrezza dovuta a uno stomaco quasi vuoto più che alla qualità dell’alcol ingerito.
Non sono uno che se n’è stato fermo, intendo con le donne, ho tre figli, due da una donna e uno da un’altra, la mia attuale compagna. Non ci crederai ma coi libri i soldi si fanno. Per questo ho scritto quello che ho scritto, dopo il primo libro. Per la verità in giro ci sono molti più libri miei di quel che pensi… Ride. Almeno i figli li ho riconosciuti tutti. Ride ancora. Non sono uno che se n’è stato con le mani in mano, non ho tempo per girarmi i pollici o guardarmi la punta delle scarpe, scrivere un atto unico sulla dittatura leggera e invisibile che viviamo ogni giorno e aspettare che qualche amico regista lo metta in scena sul palco di un centro sociale di periferia… O che arrivi il cinema… Adesso sto scrivendo un libro per uno piuttosto quotato… Uno che era in lizza per lo Strega, anzi, ti dirò di più, si aspettava di vincerlo. È in crisi, dice che sta scrivendo per il cinema, ma la verità è che è finito, allora gli sto scrivendo il libro nuovo, perché ha bisogno di soldi e ha ancora un libro per contratto con questo editore grosso che però rischia di chiudere… Ah, e poi una traduzione, per un editore piccolo, in pratica prendo questo libro di Stevenson, un libro sconosciuto, uscito in Italia negli anni ’60, e ne riscrivo la prima traduzione in italiano, senza toccare il testo originale, ci sono questi che lo pubblicano spacciandolo per roba nuova. Non lo comprerà nessuno ma l’editore paga bene, e in fondo non vuole neppure vendere, vuole solo uno Stevenson nel catalogo, poter dire che ha uno Stevenson tra i suoi libri, ecco cosa. Almeno credo.
Siamo fuori. Sul lungomare lo scirocco si fa sentire. Il mare è una lunga ombra tranquilla. Passeggiamo per far passare l’ebbrezza, poi aspettiamo che la compagna venga a riprendersi lo scrittore. Di tanto in tanto lui si ferma, ho l’impressione che debba vomitare e che la causa siano le linguine o l’antipasto più che il vino, e un po’ mi dispiace. Di colpo però si riprende. È per quella notte in cui è stato male, dice, Prima della finale contro la Francia, nel ’98. Per quella scena di lui che scende le scale, sull’aereo, e non sta in piedi. È per questo che ho scritto il libro su Ronaldo, anche per questo, per ciò che di lui non sapremo mai, per quello che non sappiamo di nessuno, e che ovviamente nel libro fingo soltanto di svelare. Non io, peraltro, ma l’uomo che immagino l’abbia scritto mentre lo scrivevo. Dev’essere uno del tutto simile al proprietario del ristorante in cui mi hai portato. Ride.
Tu hai mai scritto immaginando di essere qualcun altro?, chiede, puntando gli occhi bassi nei miei.
Mi guardo intorno, come se in effetti cercassi qualcuno al posto di cui scrivere, sul momento. Dico di sì, che ho scritto discorsi e testi per politici, o per imprenditori che facevano un po’ i politici. Niente di che, dico, faccio il timido, e lui: Com’è stato, sei stato onesto? Perché se sei stato onesto allora non hai scritto davvero per loro. Spiego che non lo so, o meglio, che forse di tanto in tanto ho infilato dell’altro, piccolo e innocuo, in questi discorsi, facendo dire a queste persone qualcosa che forse, pensandoci bene, non avrebbero voluto o potuto propriamente dire.
Mi guarda, in silenzio.
Qualcosa che avrebbe potuto tradirli?, chiede.
No, non è vero, dico, Al massimo ho infilato qualcosa che hanno detto o scritto molti anni prima, qualcosa in cui forse col tempo hanno creduto un po’ meno, ma non mi sono inventato nulla, nulla che fosse completamente fuori dalla loro portata intellettuale, diciamo così.
Allora sei stato onesto, dice.
Non ne ho idea.
Una piccola auto bianca accosta. Dal finestrino si sporge una bella donna, evidentemente coetanea del mio scrittore. Lui si avvicina, le dà un bacio leggero sulle labbra. Poi torna da me, mi abbraccia, fa il giro dall’altro lato e prima di entrare in macchina si volta a guardarmi.
Grazie di tutto, dice. Domani ci svegliamo presto, portiamo il bimbo a mare e poi ripartiamo. E tu non essere troppo onesto, quando scriverai di questo incontro, mentre sospetti di essere me.