Quello che segue è un estratto dal mio primo libro, Il pareggio, uscito sotto pseudonimo molti anni fa e ormai perduto. Ne avevo parlato qui. Buona lettura.
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Il corridoio dell’albergo non è molto illuminato e questo in un certo senso semplifica le cose, dato che C non ha alcuna intenzione di guardare B negli occhi e soprattutto perché B ha voglia di parlare e non sembra voler smettere.
“Voglio dire, uno come te non dovrebbe stare qui” dice B, tira su col naso e ridacchia. Il naso di B è il classico naso aquilino.
“Ogni volta che torno da queste parti sembra incredibile che resti tutto in piedi. E invece stavolta ci ho trovato anche un posto per turisti.”
“Non è un posto per turisti.”
“D’accordo, è un posto per turisti squattrinati, ma prima non c’era. Fino all’anno scorso chi diavolo sarebbe venuto qui in vacanza? Dico, a parte chi è obbligato a tornarci.”
“L’albergo c’è da almeno tre anni, te ne sei accorto solo ora perché cercavi un posto per Sara.”
“Tre anni?”
C alza lo sguardo. Prova a guardare B, poi cambia idea. Si avvicina alla porta della stanza di Sara.
“Dove vai?” chiede B.
“Non credo che dovresti lasciarla partire.”
“E stai andando a dirglielo tu, di restare qui?”
“Penso che tu dovresti andar via, possibilmente senza farti notare; andare dai tuoi, dormire lì, domattina disdire il volo, e a lei ci pensiamo io e Mina.”
B scuote la testa. C si appiattisce sul muro.
“Vado a prendere da bere” dice B.
“Il bar è chiuso, a quest’ora, e se si accorgono che c’è gente in giro penseranno che è successo qualcosa.”
B guarda verso il fondo del corridoio, c’è la luce della piccola hall dell’albergo.
“Ho sete” dice.
“Senti. Usciamo solo se c’è bisogno di andare al pronto soccorso o se ti decidi ad andar via.”
“Stai scherzando. Non è la prima volta che capita. Non le ho fatto male. Lei esagera sempre. Tu piuttosto, mi stai facendo ricredere.”
In quel momento C e B incrociano finalmente lo sguardo.
“Di che parli?”
“Del fatto che sei così brillante… Davvero, di solito la gente come te vive in città, non in questi buchi.”
“Secondo me è meglio se entro a dare un’occhiata.”
“Devo andarci io. L’ho fatto io il casino, è una cosa tra me e lei.”
“Ma tu hai chiamato me, hai chiesto a me e a Mina di portarla qui, dopo il casino.”
B socchiude gli occhi.
“D’accordo, vacci tu. Se pensa che ci sei solo tu magari non si mette a urlare.”
“Avrebbe tutto il diritto di farlo.”
B si tocca la mano sinistra, la apre e la chiude, sente dolore. Poi dice:
“Senti, a una sola condizione.”
C sospira, si mette in ascolto.
“Non starla a sentire troppo. Domani pomeriggio prende il suo aereo e sarà meglio per tutti se va via. A casa mia non devono sapere niente di questa storia. La raggiungerò tra qualche giorno e sistemerò ogni cosa. Come sempre.”
C annuisce. Sta per dire qualcosa ma B continua.
“Adesso vado a prendere da bere. Troverò qualcuno alla reception e mi farò dare da bere perché ho sete, troppa sete. Tu prova a entrare. Quando tornerò aspetterò fuori. Va bene?”
C annuisce ancora. Vede B allontanarsi verso la luce della hall. Si appiattisce contro la porta della stanza di Sara. Accarezza quella porta. L’annusa, annusa il legno, e mentre la sagoma di B sparisce dietro l’angolo lo sente dire, a bassa voce: “Come sempre. Sistemerò ogni cosa. Come sempre.”