Per quanto un corpo, non ancora cadavere, possa essere occultato, è sempre lì, per quanto ferito, ed è anzi da quelle ferite aperte, dal gorgoglio interno di cavità purulente e sanguinanti che spesso si racconta. Una cosa che gli scrittori non raccontano mai, eludendo la possibilità della ferita, è tuttavia la storia di un libro dopo la sua uscita. Per imbarazzo, disillusione o frustrazione. Allora voglio raccontare con onestà come sono andate le cose col mio ultimo libro, che si chiama Il corpo estraneo. Una tragedia on the road, ed è uscito ad aprile 2012 per Caratteri Mobili (scrivere è anche questo, no? Non si richiede onestà ai giovani scrittori italiani?).
Il libro è un romanzo e racconta l’isolamento di Danilo Dannoso. La sua solitudine è quella di chi è estraneo al mondo perché estraneo a se stesso. Danilo è un aberrato. Non conosce quale può essere la sua partecipazione al mondo, o la nega. A posteriori posso dire che questa è la condizione tipica dell’essere umano in quest’epoca che mi piace chiamare La Grande Schizofrenia. Ad ogni modo, nel secondo capitolo del libro comincia a piovere e non smette più. Danilo conosce una donna che intuisce sua simile, e comincia quella che è una storia di solidarietà più che una storia d’amore. E che verrà interrotta dalla grande colata di fango che irrompe nel finale del romanzo. Questa è la storia dentro il libro. Quella fuori parla di 72 copie vendute su, credo, 300 di tiratura. Stando a quel che dice il mio editore, il problema sono le presentazioni. I libri si vendono durante le presentazioni. Non mi trovo d’accordo, e credo che uno scrittore non debba sedurre ma limitarsi a scrivere; il libro lo deve vendere qualcun altro. Al di là di questo, presentazioni ne ho fatte, e quelle più interessanti sono state quelle due tenute nelle scuole, dove ho venduto, da solo, più della metà del totale.
Sono successe anche delle cose singolari. Qualche mese fa una pioggia torrenziale, simile forse a quella del finale del Corpo estraneo, ha allagato il magazzino del distributore di Caratteri Mobili, il quale ha subito un danno economico non da poco. Ho pensato a una sorta di profezia, o maledizione, o a una potenziale patente di jettatore per il sottoscritto.
È successo anche che sono uscite diverse opere con titoli simili o uguali a quello del mio romanzo. Dapprima Paolo Giordano è uscito con Il corpo umano. Niente di che. Poi è stata la volta de Il mio corpo estraneo. Carni e immagini in Valerio Magrelli di Federico Francucci, che credo sia un saggio. E infine è toccato al regista Mirko Locatelli andare nelle sale con Filippo Timi e un film che si chiama I corpi estranei.
Ho detto al mio editore che non avremo venduto un cazzo, ma almeno abbiamo lanciato una moda. Era un modo per ironizzare, ma ho anche pensato che forse ci avevo visto giusto a scrivere questo libro, come sempre scritto in solitudine e in contumacia, che pensavo parlasse solo a me, e invece forse si agganciava a qualcosa di più generale. Spero che tutti quelli che in quest’epoca di pazzi decidono di occuparsi di questa cosa dell’estraneità riescano comunque a inserirci quel bagliore che ho intravisto io, scrivendo della storia di solidarietà tra Danilo e la sua compagna di viaggio. In altri termini, mi auguro che non ci si innamori della condizione dell’estraneità per farne un’estetica che vende, in libreria o al cinema o in tv.
Nel frattempo continuo a scrivere, adesso più da clandestino che da estraneo, con estrema difficoltà nel rapportarmi con un’editoria che forse sta producendo molti corpi estranei, in fatto di libri e di autori, oggetti, sia gli uni che gli altri, al tempo stesso autistici e seduttori, difficilmente in grado di uscire da se stessi per partecipare e toccare davvero il mondo circostante. Ho fiducia nella mia capacità di sbagliarmi, ma ho molta più fiducia nella libertà e nel tempo che ho a disposizione per scrivere fuori dal mondo editoriale italiano contemporaneo.
Poscritto del 16 marzo 2014, ore 0.59. Stasera ho ripensato a questo post, alla sua violenza sotterranea, alla volontà del sottoscritto di sabotare e di sabotarsi fino a dimenticare il premio come miglior romanzo pugliese vinto dal Corpo estraneo nel 2012. Che senso ha? Il premio, certo, ma anche il dimenticarsene scrivendo questo post. Il premio mi è tornato in mente terminando la lettura di Chiedi alla polvere di John Fante; per la precisione mentre leggevo di Arturo Bandini alle prese con l’uscita del suo romanzo, nel momento in cui realizza che l’avvenimento non gli restituisce le stesse sensazioni provate all’epoca della pubblicazione del suo primo racconto. Vai a sapere, vai a sapersi.